Le rinnovabili possono aiutare molto anche nelle crisi umanitarie

Uno studio dell’IRENA spiega perché conviene puntare sulle energie pulite nei campi profughi, in modo da ridurre la dipendenza dai generatori diesel.

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Sostituire i generatori diesel con micro-reti alimentate grazie alle fonti rinnovabili può essere una soluzione pratica e conveniente anche per le agenzie umanitarie che devono gestire campi profughi in varie parti del mondo, popolati da migliaia di persone in fuga da guerre e povertà.

Su questo tema, abbastanza trascurato dalle grandi analisi sulla transizione energetica dai combustibili fossili alle energie pulite, è intervenuto uno studio pubblicato dall’IRENA (International Renewable Energy Agency), l’agenzia intergovernativa che promuove l’utilizzo delle risorse rinnovabili su scala globale.

Il documento, dal titolo “Renewables for refugee settlements” (allegato in basso) è stato preparato in collaborazione con l’agenzia dell’ONU per i rifugiati, UNHCR, e si concentra sulla possibilità di garantire un accesso “sostenibile” all’energia elettrica nei campi umanitari, sostenibile sia sotto il profilo ambientale (in modo da ridurre le emissioni di sostanze inquinanti) sia in termini di continuità e sicurezza delle forniture, diminuendo disservizi e blackout e migliorando così la qualità della vita dei rifugiati.

La ricerca, più in dettaglio, si basa sui risultati di alcune missioni sul campo tra settembre-ottobre 2019 in quattro campi profughi gestiti dall’UNHCR in Etiopia e Iraq.

Tra i tanti problemi evidenziati nello studio:

  • Mancanza di informazioni precise e attendibili sui consumi energetici per le varie attività e per le diverse strutture, tra cui gli edifici che ospitano scuole, ospedali da campo, uffici e così via.
  • Scarsa attenzione per le operazioni di pulizia/manutenzione degli impianti, con la conseguenza che le installazioni solari, ad esempio, si sporcano e rovinano con più facilità, riducendo il loro potenziale contributo alla produzione di energia.
  • Dipendenza dai generatori diesel per l’approvvigionamento elettrico, anche nei casi in cui il campo sia collegato alla rete elettrica nazionale per fronteggiare le fluttuazioni e i disservizi sulla rete stessa, molto frequenti nelle aree più remote.

L’agenzia ONU per i rifugiati, evidenzia il documento, spende ogni anno circa 35 milioni di dollari per acquistare il gasolio necessario ad alimentare i generatori dei campi.

Tuttavia, come già aveva rimarcato un recente studio di Chatham House con dati provenienti da 21 organizzazioni umanitarie in diverse zone geografiche, in molti casi sarebbe possibile sostituire la produzione di elettricità con il diesel a favore di sistemi ibridi o addirittura 100% rinnovabili, con un contributo marginale del gasolio per la generazione di emergenza e backup, grazie ai costi sempre più competitivi degli impianti fotovoltaici e delle micro-reti solari nelle zone rurali.

Si parla, quindi, di varie soluzioni come i piccoli sistemi solari domestici SHS (Solar Home System), le reti “a isola” incentrate su impianti fotovoltaici accoppiati alle batterie, lampioni con pannelli solari integrati, installazioni con mini-turbine eoliche.

La ricerca dell’IRENA quindi esamina una serie di opzioni tecnologiche, buone pratiche e modelli di business con cui favorire la diffusione delle rinnovabili nei campi profughi, in modo da abbattere i costi per l’approvvigionamento energetico, migliorare la qualità delle forniture e condividere anche con le popolazioni locali i benefici raggiunti.

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