Chi l’ha detto che rendere sostenibili i trasporti pesanti su strada sia una sfida impossibile?
Per anni gli esperti hanno ripetuto sconsolati che mentre si potevano immaginare soluzioni elettriche per le auto, questo sarebbe stato impossibile per i camion, e che quindi per “svezzarli” dal gasolio, si sarebbero dovuto immaginare soluzioni di “transizione”, solo leggermente meno dannose dei derivati del petrolio, come il ricorso al metano liquido o a biocombustibili di incerta sostenibilità.
Ma ora, smentendo le fosche previsioni, diverse società hanno annunciato di stare per mettere in strada autotreni elettrici.
E non quelli un po’ bizzarri immaginati dalla Scania, in Svezia, che hanno bisogno di un pantografo e di una linea elettrica tipo filobus, per correre in autostrada, ma proprio mezzi autonomi, a batteria o a idrogeno.
Soluzioni a batteria
Ad aprire le danze, nel 2017, è stato naturalmente l’effervescente Elon Musk, patron di Tesla, presentando Tesla Semi, un trattore per semirimorchi che dovrebbe avere (per ora nessuno ha ancora avuto modo di testarlo) una capacità di traino di 40 tonnellate, pari a quella dei camion diesel, 800 km di autonomia, e un tempo di ricarica di appena mezz’ora per recuperare l’80% della carica completa (presso le colonnine ad alta tensione Tesla megacharger).
Pochi mesi fa Musk ha confermato che il Semi sarà in vendita entro fine 2020, a un prezzo di soli 150-180mila dollari, minore di quello di un semirimorchio convenzionale, e che anche i costi di gestione, grazie al basso prezzo dell’elettricità e alle minori spese di manutenzione, sarebbero stati competitivi rispetto a quelli dei mezzi diesel. Annunci che pare abbiano fatto accumulare a Tesla preordini per già 2.000 Semi, fra cui 850 da una delle più grandi aziende statunitensi del trasporto.
Ma Musk, si sa, è incline a spararle grosse, e, in effetti un’analisi tecnica fatta dagli ingegneri della Carnegie Mellon University, ha concluso che le annunciate performance di Semi non sono molto credibili: secondo loro per raggiungere quell’autonomia avrebbe bisogno di 12 tonnellate di batterie, un quarto del carico utile. Quindi, probabilmente, si tratterà di un camion per il medio raggio, non in competizione con i bisonti della strada che macinano un migliaio di chilometri al giorno.
Visto che, dopo due anni, di Tesla Semi in giro non ce n’è ancora neanche uno, molti hanno pensato che l’idea del Tir elettrico fosse solo una “muskata”, una irrealizzabile fuga in avanti.
Ma non è così: dal 2017 molti costruttori di camion, fra cui giganti come BYD, Daimler, Daf, Toyota e Volkswagen, hanno annunciato di lavorare allo stesso concetto.
Adesso lo ha fatto anche l’Iveco, investendo 250 milioni di dollari nella Nikola Motor Company, azienda fondata dal 37enne ingegnere Trevor Milton, per realizzare una versione del trattore per semirimorchi Iveco S-Way a batteria, destinato ai mercati europeo, australiano e asiatico.
L’S-Way elettrico dovrebbe fare la sua apparizione nel 2021 e avere un range di 400 km, che Milton spera di estendere gradualmente a 1200 km, via via che le batterie aumenteranno di densità energetica e caleranno di prezzo.
Soluzioni a idrogeno
In realtà, prima dell’accordo con Iveco, la Nikola stava sperimentando una soluzione ben diversa per rendere sostenibile il trasporto pesante: quella del camion a idrogeno, che è sempre mosso da motori elettrici, ma la cui energia non proviene da batterie, ma da una cella a combustibile, che, combinando l’idrogeno con l’ossigeno dell’aria, converte il gas in elettricità e acqua.
I vantaggi dell’uso dell’idrogeno sono evidenti: compresso in bombole da 700 atmosfere, a parità di peso consente di avere una autonomia doppia di quella delle batterie, mentre il rifornimento torna ad essere veloce come quello del gasolio. E con solo 100 kg di idrogeno, il Model One (foto in alto), che la Nikola promette di mettere in vendita entro il 2023, avrà una autonomia di 1900 km.
Ma la ricarica è anche il principale svantaggio di questa soluzione: mentre l’elettricità è ovunque, di stazioni di rifornimento per l’idrogeno ce ne sono pochine (in Italia ce ne sono solo tre in funzione, di cui una a Bolzano, dove si sperimentano autobus a idrogeno).
Per questo motivo Nikola promette non solo di vendere i camion, ma anche di impiantare nei prossimi anni 700 stazioni di ricarica in giro per gli Usa, dove l’idrogeno verrà prodotto sul posto, usando elettricità da fotovoltaico. Senza quella rete di stazioni, in effetti, gli 800 potenziali clienti che hanno già prenotato il Model One, rischiano di restare a piedi.
Quindi la sfida per elettrificare il trasporto pesante su strada, spazzando via anche il problema dell’inquinamento e del rumore ad esso correlati, è cominciata.
Non si sa ancora chi vincerà fra batterie e idrogeno, ma il risultato pare destinato a travolgere le “soluzioni intermedie” del metano liquido e dei biocombustibili, che tanto piacciono ai cultori dello status quo.
Secondo Gianandrea Ferrajoli, esperto di trasporto sostenibile, la strada è comunque segnata: «L’Ue ha chiesto ai costruttori di camion di ridurre del 15% entro il 2025 e del 30% entro il 2030 le emissioni di CO2. Non basterà un diesel supermoderno per riuscirci, servono motori a emissioni zero. Secondo me a vincere per i trasporti pesanti a lunga distanza sarà l’idrogeno, mentre l’elettrico servirà per tragitti più brevi, non a caso Amazon ha già ordinato all’americana Rivian 100mila furgoni elettrici per ‘l’ultimo miglio’, cioè per le consegne dai magazzini ai clienti finali».
Camion tradizionali quasi a zero emissioni?
Vedremo chi la spunterà fra idrogeno e litio, intanto dalla Svizzera arriva una proposta originale per rendere a emissioni quasi zero da subito anche i truck convenzionali: l’ingegnere François Maréchal, della Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne, ha proposto su Frontiers in Energy Research, di usare tecnologie già esistenti per catturare la CO2 dei fumi di scarico dei camion, per poi riconvertirla in nuovo gasolio.
La prima fase del processo avviene sul mezzo stesso, mentre è in marcia: i suoi fumi di scarico vengono raffreddati e da essi si separa la CO2 dagli altri gas, usando degli assorbitori chimici. Il gas viene poi compresso con una pompa azionata dal calore del motore, e accumulato in forma liquida in un serbatoio sul tetto del camion.
Al momento del rifornimento di gasolio, il camion scarica anche la CO2 liquida in un serbatoio della stazione di servizio. Qui un sistema elettrochimico azionato con energie rinnovabili, combina la CO2 con idrogeno da elettrolisi, per produrre, grazie a opportune condizioni di reazione e catalizzatori, nuovo e purissimo gasolio, che poi alimenterà altri camion.
«Il dispositivo di cattura della CO2 sul camion occupa circa 2 metri cubi, con un peso del 7% su quello del mezzo. Può essere montato su ogni modello, riducendo istantaneamente le sue emissioni del 90%, senza alcun consumo energetico aggiuntivo», dice Maréchal.
Ecco, questa potrebbe essere una soluzione di transizione, in attesa che le strade si riempiano di silenziosi e pulitissimi Tir a idrogeno o batterie.