L’Italia è ora ufficialmente un Paese membro dell’Alleanza Ue sul nucleare, dopo che per diversi anni ne ha fatto parte soltanto in qualità di “osservatore”.
L’annuncio è arrivato ieri mattina dal ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, in occasione della riunione dell’alleanza che si è tenuta a margine del consiglio Energia di Lussemburgo.
“Si tratta – ha sottolineato il ministro in una nota – di una decisione in linea con le scelte di politica energetica del governo italiano che promuove con convinzione il principio della neutralità tecnologica”.
Roma si unisce quindi al gruppo di 12 Paesi pro-atomo istituito su iniziativa della Francia nel 2023. Vi aderiscono anche Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia.
“Vediamo sempre più paesi unirsi all’alleanza nucleare”, ha dichiarato la ministra svedese dell’Energia, Ebba Busch, annunciando che da ieri anche la Germania, che appena due anni fa spegneva gli ultimi tre reattori del Paese, ha deciso di affiancarsi come membro osservatore.
Perché è una scelta sbagliata
La scelta dell’Italia è “puramente ideologica”, perché “non esiste nel nostro Paese nessun progetto nucleare specifico e non c’è nessuna azienda italiana che investa in impianti di potenza”, spiega a QualEnergia.it Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia ed esperto di energia nucleare.
“Non esiste nessun progetto di ‘nucleare sicuro’ italiano – insiste – checché ne dica il ministro. Nessuna azienda italiana ha la minima intenzione di investire i vari miliardi che servirebbero e il governo stanzia soldi solo in futuribili progetti e per finanziare la propaganda nucleare“.
L’Italia dovrebbe investire negli Smr (“small modular reactors”), “ma non esistono nemmeno come prototipi in nessun Paese occidentale”, spiega ancora Onufrio.
Un progetto a cui partecipa anche l’Ansaldo Nucleare è quello promosso dalla francese Edf, il reattore NuWard. “Inizialmente si trattava di un reattore innovativo – chiarisce l’Onufrio – ma dopo quattro anni di investimenti in ricerca e sviluppo, lo scorso luglio il progetto iniziale di reattore avanzato da 170 MW è stato abbandonato. La società che lo stava sviluppando, la francese TechnoAtome, è uscita dal progetto, che secondo la stessa Edf prevedeva tecnologia oggi non disponibile”.
L’obiettivo del progetto NuWard è stato poi ridefinito come un reattore ad acqua pressurizzata (PWR) da 400 MW, e la progettazione è ripartita da zero.
La nippoamericana Westinghouse sta invece sviluppando, sulla carta, il progetto di una versione piccola del suo reattore AP1000, l’AP300, anch’esso ad acqua pressurizzata. “Ha proposto di costruirli nei vecchi siti nucleari italiani – spiega Onufrio – ma pare senza alcuna risposta da parte del governo”.
In tutti questi casi si tratta sempre e comunque di tecnologia dei reattori ad acqua pressurizzata, come lo sono i tre quarti dei reattori oggi in funzione e come lo è l’Epr, il reattore francese di generazione III+. Il progetto di fare quattro Epr in Italia fu bocciato dal referendum del 2011.
“Dunque, nulla di nuovo all’orizzonte, si tratta solo di reattori più piccoli ma è la stessa tecnologia già bocciata 14 anni fa”, conclude l’esponente di Greenpeace (Il nucleare promosso dal governo è lo stesso bocciato dal referendum del 2011).
Le stime Ue sugli investimenti
Lo scorso 12 giugno la Commissione europea ha pubblicato una nuova edizione del Programma illustrativo nucleare (Pinc), stimando investimenti nell’atomo per almeno 241 miliardi di euro entro il 2050. Una cifra necessaria per garantire il prolungamento della vita operativa dei reattori esistenti (36 mld €) e per costruirne di nuovi (205 mld €).
La potenza delle grandi centrali dovrebbe aumentare da 98 a circa 109 GW entro la metà del secolo. “Si tratta di un investimento importante ma che serve soltanto a garantire la sopravvivenza del nucleare“, osserva Onufrio. “Si prevede un aumento del 10% della potenza quando nello stesso arco temporale tutte le altre fonti pulite potrebbero addirittura triplicare, questa è una linea di sopravvivenza, non di sviluppo del nucleare”.
La gestione delle scorie radioattive presenti e future e il decommissioning dei vecchi impianti dovrebbero invece comportare un esborso di circa 300 miliardi.
“Per realizzare davvero la transizione energetica pulita, servono tutte le soluzioni a zero o basse emissioni. Il nucleare giocherà un ruolo importante nella costruzione di un sistema più resiliente e sostenibile”, ha affermato Dan Jørgensen, commissario europeo per l’energia e l’edilizia. Ma la strada non è esente da criticità.
Lo stesso rapporto della Commissione (link in basso), ad esempio, spiega che se ci fossero ritardi nella costruzione di nuovi progetti (cosa affatto rara) la potenza attesa potrebbe essere fino 9 GW più bassa e i costi potrebbero aumentare di altri 45 milioni di euro.
Problemi al reattore di Civaux
Intanto nel reattore numero 2 della centrale nucleare di Civaux di Edf, in Francia, sono stati rilevati due “indizi di corrosione sotto sforzo”.
Attualmente “è in corso una perizia sulle condutture”, ha dichiarato il colosso energetico transalpino, spiegando che l’analisi viene condotta in conformità “con il programma di controllo del 2025 attuato come parte della strategia di trattamento della corrosione sotto sforzo”.
Il fenomeno si manifesta attraverso minuscole crepe. Edf aveva avuto un problema simile alla fine del 2021, quando scoprì delle microfessure nel reattore numero 1 della centrale di Civaux.
La società ha detto di non avere ancora ottenuto i risultati dell’indagine. Contattata dall’agenzia di stampa Afp, l’Asnr, autorità di vigilanza francese sul nucleare, ha confermato l’esistenza di “due indicazioni di corrosione sotto sforzo” sul reattore numero 2, senza fornire ulteriori dettagli. Il reattore Civaux 2, spento dal 4 aprile per manutenzione programmata, dovrebbe riavviarsi all’inizio dell’estate.