Le due principali banche italiane, Intesa Sanpaolo e UniCredit, non sono all’altezza dei tempi come impegno per fermare l’espansione delle fossili e anche per tanti istituti di credito nel mondo c’è poca coerenza tra impegni e azioni.
Questo quanto emerge dal nuovo aggiornamento dell’Oil and Gas Policy Tracker (OGPT), il database curato da Reclaim Finance, insieme a ReCommon e altre 12 organizzazioni della società civile, che permette di valutare gli impegni pubblici delle istituzioni finanziarie in relazione al comparto del petrolio e del gas (link in basso).
Come spiega una nota di ReCommon, le due banche italiane si posizionano abbondantemente sotto la sufficienza, poiché mancanti di clausole specifiche che pongano un freno ai finanziamenti per quelle società che stanno espandendo il proprio business fossile con nuove estrazioni e progetti per il trasporto di idrocarburi.
Una questione non da poco, alla luce della nuova corsa a petrolio e gas in varie regioni del mondo, spesso caratterizzate da instabilità sociale e politica e sistemiche violazioni dei diritti umani, con l’obiettivo di rompere la dipendenza fossile – europea in primis – dalla Federazione russa, in seguito all’invasione dell’Ucraina.
Come denunciato più volte da ReCommon, Intesa Sanpaolo, banca italiana maggiormente esposta al business dei combustibili fossili per il mix di operazioni creditizie e investimenti, “ha assunto impegni debolissimi che presentano delle clausole ad hoc per favorire ‘relazioni speciali’ con alcune società del petrolio e del gas.”
Infatti, si sottolinea, nei suoi ultimi impegni per il clima e l’ambiente, risalenti a luglio 2021, la prima banca italiana tutela in maniera opportuna le operazioni estrattive nell’Artico: la policy esclude la possibilità di finanziare progetti estrattivi offshore nella Regione Artica, permettendo invece quelli sulla terraferma.
La maggior parte di questi progetti, spiega ReCommon, si trova nell’Artico russo, tra cui ricordiamo Yamal LNG e Arctic LNG-2, della società russa Novatek, che hanno visto entrambi il coinvolgimento finanziario di Intesa. Il 1° marzo, Intesa Sanpaolo ha deciso di congelare il prestito per Arctic LNG-2, per timore delle ripercussioni di ulteriori sanzioni rivolte alla Federazione russa.
“Dal momento che la prima banca italiana vede di buon occhio una ‘transizione’ da carbone a gas, quindi da un combustibile fossile a un altro, preoccupa fortemente l’assenza di una posizione chiara nei confronti di quelle società che stanno espandendo il proprio business nel settore idrocarburi”, commenta Simone Ogno di ReCommon, “Intesa sembra usare il termine ‘non-convenzionale’ come uno scudo. Non dobbiamo cascarci: non esiste alcuna estrazione ‘convenzionale’, ognuna ha un impatto fortissimo sull’ambiente, il clima e le comunità”, conclude.
UniCredit si è invece impegnata a interrompere ogni finanziamento per progetti volti a esplorare nuove riserve di petrolio e che ne espandono l’attuale produzione. Tuttavia, la policy recente non si applica a livello societario, permettendo quindi di continuare a finanziare direttamente quelle società che stanno espandendo il proprio business nel settore.
Una scelta facile per UniCredit, osserva ReCommon, dal momento che il finanziamento a progetti upstream è storicamente una porzione molto marginale delle sue operazioni. Inoltre, come nel caso di Intesa, preoccupano le cosiddette ‘eccezioni’ agli impegni presi su petrolio e gas. Tra queste, vi è la possibilità che la banca possa continuare a finanziare due società russe attive nel settore del petrolio e gas, “data l’importanza strategica di queste due aziende nella fornitura di gas ed energia all’UE”.
«A differenza di Intesa Sanpaolo, UniCredit si è impegnata a chiudere definitivamente i rubinetti per i finanziamenti a progetti estrattivi nella Regione Artica. Tuttavia, le eccezioni previste dalla policy sollevano molti dubbi sull’efficacia degli impegni, considerando che il gruppo può continuare a finanziare società russe altamente coinvolte nell’estrazione nell’Artico», afferma Daniela Finamore di ReCommon. «UniCredit sta in questi giorni rivedendo la propria posizione in merito al business fossile russo. Il nostro auspicio è che queste eccezioni vengano definitivamente rimosse», conclude.
Nell’analisi degli impegni presi dalle 150 maggiori istituzioni finanziarie del mondo (60 banche, 30 assicuratori e 60 investitori), l’Oil and Gas Policy Tracker rivela che nonostante molte di queste si siano impegnate a contrastare la crisi climatica limitando il sostegno al comparto oil&gas, le loro politiche si sono rivelate troppo deboli per permettere un allineamento con l’obiettivo di rimanere entro 1,5 gradi centigradi di riscaldamento globale.
Inoltre, la metà delle istituzioni finanziarie analizzate fanno parte della Glasgow Financial Alliance for Net Zero, piattaforma istituita durante la COP26 di Glasgow – di cui fanno parte anche Intesa Sanpaolo e UniCredit, con l’obiettivo di raggiungere vaghi obiettivi di emissioni nette pari a zero entro il 2050. Senza impegni concreti volti a frenare l’espansione del business degli idrocarburi, denuncia ReCommon. Piattaforme come questa si presentano per ciò che sono realmente: l’ennesima, inaccettabile, ipocrisia della finanza globale.