Inquinamento atmosferico e morti da Covid 19, altri studi mostrano la correlazione

Una sintesi delle ultime ricerche scientifiche sul tema e i documenti allegati.

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L’inquinamento dell’aria potrebbe essere un fattore decisivo per spiegare la diffusione dell’emergenza coronavirus: un nuovo studio pubblicato su Science of The Total Environment (allegato in basso) ha esaminato le relazioni tra le concentrazioni di ossidi di azoto (NO2) nell’atmosfera e le morti causate dal contagio con il Covid-19.

Nella ricerca, firmata da Yaron Ogen della Martin-Luther University Halle-Wittenberg, si ricorda innanzi tutto che l’esposizione prolungata agli ossidi di azoto può provocare diversi problemi di salute nella popolazione, come ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari.

Così lo studio ha analizzato i dati satellitari sull’inquinamento atmosferico da NO2 in 66 regioni in quattro paesi – Italia, Francia, Germania, Spagna – incrociandoli con il numero di decessi per il coronavirus.

Dai risultati, evidenzia la ricerca, è emerso che il 78% dei morti (3.487 su 4.443) si è concentrato in sole cinque regioni; e tra queste, ben quattro sono nel Nord Italia con Lombardia in testa (2.168 decessi) davanti a Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. L’altra zona più colpita è Madrid in Spagna.

Più in dettaglio, si legge nel documento, i dati satellitari analizzati riguardano le concentrazioni di NO2 nella troposfera nei mesi di gennaio e febbraio 2020 quindi prima della piena diffusione del coronavirus in Europa con le conseguenti misure di lockdown.

In sostanza, la pianura Padana è stata definita un “hotspot” nella ricerca, cioè un’area con concentrazioni particolarmente elevate di ossidi di azoto, combinate con particolari condizioni ambientali (si parla ad esempio delle caratteristiche dei flussi d’aria nell’atmosfera) che impediscono la dispersione dei gas tossici.

Ricordiamo che a marzo era uscito un “documento di posizione” della Società italiana di medicina ambientale (Sima), dove si suggerisce una possibile relazione tra il superamento dei limiti di polveri sottili, rilevati nel periodo 10-29 febbraio, e il numero di persone contagiate dal Covid-19, perché le elevate concentrazioni di particolato fine nell’aria potrebbero aver accelerato la diffusione del virus.

Anche un altro studio recente, pubblicato su Environmental Pollution e condotto da ricercatori dell’Università di Siena e dell’Aarhus University danese (allegato in basso), ha esaminato le possibili correlazioni tra elevato inquinamento atmosferico nelle regioni padane e tassi di mortalità dovuti al coronavirus.

In sintesi, i ricercatori affermano che l’alto livello dell’inquinamento atmosferico nel Nord Italia dovrebbe essere considerato come un fattore addizionale che ha contribuito all’alto numero di decessi da Covid-19 in quell’area.

Il punto, infatti, è che le persone che vivono nelle regioni più inquinate hanno maggiori probabilità di sviluppare malattie respiratorie croniche; di conseguenza sarebbero più esposte ai rischi per la salute di un virus come il Covid-19.

Ma in tema di presunte correlazioni tra coronavirus e inquinamento atmosferico il dibattito resta molto aperto; non si può parlare di relazioni causa-effetto perché sono necessari altri studi per approfondire diversi altri elementi, ad esempio quanto incidono fattori legati all’età, alla preesistenza di malattie respiratorie, cardiovascolari e di altro tipo, oltre alla durata dell’esposizione all’inquinamento atmosferico.

Documenti allegati (pdf in inglese):

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