I contrasti interni alla coalizione di governo tedesca potrebbero indurre la Germania a togliere il suo sostegno agli obblighi di ristrutturazione edilizia ed efficientamento energetico che stanno per essere introdotti con la direttiva sul rendimento energetico degli edifici (Epbd), attualmente in fase di revisione.
La scorsa settimana il governo tedesco ha deciso di portare avanti, a livello nazionale una proposta controversa che vieta le caldaie a gas nuove a partire dal 2024 in Germania, nonostante l’opposizione iniziale del partito liberale Fdp, che è al governo assieme a verdi e socialdemocratici.
Secondo fonti di governo, citate dall’agenzia Euractiv, il sostegno dell’Fdp al divieto delle caldaie a combustibile fossile sarebbe stato però successivamente ottenuto in cambio dell’abbandono degli standard minimi di rendimento energetico previsti dalla direttiva Epbd.
Il contesto
Nell’ambito del Green Deal, la Commissione europea sta spingendo per raddoppiare il tasso di ristrutturazione degli edifici dell’Ue, che attualmente si attesta ad appena l’1% annuo. Sulla direttiva, in vista dei negoziati finali a Bruxelles, hanno però già espresso forti perplessità alcuni Paesi europei, fra cui l’Italia.
L’Epbd (Energy performance of buildings directive) prevede una serie di obblighi per riqualificare dal punto di vista energetico il 15% degli edifici con le peggiori prestazioni in tutto il blocco dei 27 Paesi.
In particolare, si propone che edifici residenziali debbano raggiungere almeno la classe energetica E al 2030 e la D al 2033. Gli immobili pubblici dovranno invece raggiungere le stesse classi, rispettivamente, entro il 2027 e 2030.
Il dibattito sulla direttiva ha visto finora due fronti contrapposti: da una parte, una coalizione di 15 Paesi guidata da Italia e Polonia, che ritengono le misure spesso impossibili o troppo difficili da applicare e che vuole circoscrivere e limitare molto la portata della direttiva. Dall’altra, un gruppo di sei Paesi guidato da Francia e Germania ha spinto finora per rispettare gli obiettivi proposti dal Parlamento europeo.
Ricordiamo che sia il Parlamento che i Paesi dell’Ue devono approvare un testo comune prima che possa diventare legge.
Ripensamenti
Il governo tedesco sarebbe ora pronto a ritirare il suo sostegno agli ambiziosi obiettivi di efficienza energetica della direttiva e a optare invece per un approccio più flessibile, secondo indiscrezioni riportate da Euractiv.
“L’obiettivo del governo federale nei prossimi negoziati a tre è quello di avere regolamenti che siano vicini alla realtà e che non sovraccarichino nessuno”, ha dichiarato un portavoce del governo tedesco.
Il portavoce ha aggiunto che il governo è “ancora in trattativa” circa la direttiva Ue sugli edifici, ribadendo comunque la necessità di garantire che gli edifici diventino neutrali dal punto di vista climatico entro il 2050.
Tuttavia, anche il sostegno alla direttiva da parte del principale partito della coalizione tedesca, l’Spd, si starebbe ora affievolendo. Secondo gli osservatori, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz non appoggia più l’obbligatorietà degli obiettivi di ristrutturazione dell’Ue per il timore che questi impongano ulteriori oneri finanziari ai cittadini tedeschi, già colpiti da una serie di crisi negli ultimi anni.
Anche la ministra dell’Edilizia, Klara Geywitz, stretta alleata di Scholz nell’Spd, è diffidente nei confronti delle ristrutturazioni obbligatorie. “Non credo che sia compatibile con la costituzione tedesca rendere la ristrutturazione obbligatoria per legge”, ha dichiarato a marzo.
Daniel Föst, membro del Bundestag tedesco e responsabile della politica edilizia dell’Fdp, ha affermato che “la ristrutturazione forzata degli edifici è la strada sbagliata da percorrere”.
Il capo dei Verdi, Ricarda Lang, ha dichiarato che Berlino non abbandonerà gli sforzi per centrare standard edilizi ambiziosi, avvertendo tuttavia che le implicazioni sociali devono essere considerate attentamente.
Con i Verdi a Berlino apparentemente in minoranza, il partito delle ristrutturazioni obbligatorie potrebbe essere quindi costretto a fare maggiori concessioni.
Invece dell’approccio per singolo edificio, proposto dalla Commissione europea e sostenuto dal Parlamento, o dell’approccio basato sulla media del patrimonio edilizio, potrebbe essere adottato come compromesso un approccio quindi basato sui quartieri da sottoporre a ristrutturazione obbligatoria, secondo le fonti.
La Svezia, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, si è dimostrata finora poco propensa ad avviare nuovi negoziati per mandare in porto la nuova direttiva sugli edifici. Anche il successore della Svezia nella rotazione presidenziale alla Consiglio, cioè la Spagna, non sembra particolarmente dinamica su questo fronte.
È probabile quindi che l’adozione della direttiva richiederà ancora tempo.
Cosa prevede la bozza attuale
Oltre ai principi generali menzionati prima, la bozza attuale della direttiva prevede che l’aggiornamento delle prestazioni energetiche (che può assumere la forma di lavori di isolamento o miglioramento del sistema di riscaldamento) sarebbe richiesto quando un edificio viene venduto o sottoposto a un’importante ristrutturazione o, se è in affitto, quando viene firmato un nuovo contratto.
Ciascuno Stato membro dovrebbe stabilire le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi, tramite i piani nazionali di ristrutturazione. In sostanza, per tenere conto delle diversità nazionali, la classe G dovrebbe comprendere solo il 15% degli edifici meno efficienti del parco edilizio di ogni Paese.
Sono già previste diverse deroghe nella bozza attuale: ad esempio, gli Stati membri potranno esentare dagli obblighi gli edifici tutelati e quelli a uso temporaneo, oltre a chiese e luoghi di culto. Prevista anche la possibilità di esentare l’edilizia sociale pubblica, se i lavori di riqualificazione facessero aumentare gli affitti in modo sproporzionato, rispetto ai risparmi conseguibili nelle bollette energetiche.
Altre deroghe dagli obblighi di ristrutturazione sono previste per le case indipendenti con superficie calpestabile inferiore a 50 mq e per le seconde case (immobili usati meno di 4 mesi all’anno o, in alternativa, per un periodo limitato dell’anno e con un consumo energetico previsto inferiore al 25% del consumo che risulterebbe dall’uso durante l’intero anno).
Gli Stati membri potranno anche rivedere gli standard minimi di prestazione degli edifici residenziali – classe E al 2030 e classe D al 2033 – per ragioni di fattibilità economica e tecnica dei lavori di ristrutturazione e per ragioni legate alla disponibilità di manodopera qualificata. Ma tale deroga può riguardare al massimo il 22% degli edifici totali e non potrà essere applicata dopo il 1° gennaio 2037.
Inoltre, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero dal 2028; dal 2026 quelli occupati, gestiti o di proprietà di autorità pubbliche.
Altra novità sarebbe il solare obbligatorio per le nuove costruzioni entro il 2028 (ove tecnicamente ed economicamente fattibile), mentre gli immobili residenziali in fase di ristrutturazione dovranno adeguarsi entro il 2032.
Una rilevante scappatoia è stata poi già prevista per i combustibili fossili nel riscaldamento degli immobili: in linea generale, la direttiva prevede di bandire gli impianti a fossili per tutti gli edifici nuovi o ristrutturati già dalla data di recepimento della direttiva stessa, ma sono fatti salvi gli impianti ibridi e quelli che possono utilizzare anche energie rinnovabili.
In pratica, questa formulazione lascia le porte aperte alle installazioni di caldaie a gas “hydrogen ready”, cioè certificate per bruciare sia gas fossile sia, in futuro, idrogeno.