Gas nazionale, perché “rivedere il Pitesai” non darebbe nulla alla sicurezza energetica

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Ampliare le aree idonee all’estrazione di idrocarburi come proposto da Cingolani ci darebbe una quantità di gas e petrolio irrisoria e in tempi troppo lunghi per affrontare l’emergenza attuale. E i dati sono pure sul sito del MiTE.

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Con la Russia che riduce i flussi di gas verso l’Europa, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani è tornato a riproporre l’idea di puntare sugli idrocarburi nazionali.

“Credo che sia necessario rivedere il Pitesai alla luce di quello che sta succedendo”, ha affermato rispondendo a un’interrogazione sul tema al Senato, riferendosi alla nota mappa delle zone idonee per l’estrazione di idrocarburi.

“Dobbiamo perseguire da un lato la riduzione dell’uso totale del gas, e dall’altro, per quello che ci servirà ancora, usare sempre più gas da giacimenti nazionali. Mi impegno a fare questo. Il paese deve essere indipendente dal punto di vista energetico. È stato sbagliato passare da un 20% di gas nazionale nel 2000 a un 3-4% nel 2020, senza ridurre i consumi, ma solo importando di più”.

Anche lasciando da parte le non secondarie questioni ambientali e climatiche, come abbiamo più volte spiegato, le riserve domestiche di gas e petrolio, peraltro ben conosciute da decenni nel nostro territorio, potrebbero dare solo un contributo marginale alla nostra sicurezza energetica e con tempi incompatibili con la crisi in atto.

Infatti, anche ipotizzando (irrealisticamente) di riuscire a estrarre le riserve “possibili” e “probabili”, il gas made in Italy ci basterebbe per meno di un anno e mezzo di consumi e contando invece solo sulle riserve “certe”, basterebbe per poco più di 6 mesi.

Proprio sul sito del MiTE si contano le riserve nazionali di gas (dati di fine 2021): sono di 39,850 miliardi di Sm3 (metri cubi standard) contando solo le “certe”, cui si sommano 44,472 mld Sm3 di riserve “probabili” e 26,753 mld Sm3 di “possibili”, per un totale di circa 111 mld Sm3. Da confrontare con un consumo nazionale di circa 76 miliardi di m3 /anno (qui i dati per  il 2021).

Stesso discorso vale per il petrolio: abbiamo riserve certe per 79,692 milioni di tonnellate (Mtep, sempre dati MiTE 2021), che salgono a 208 circa aggiungendo le “probabili” e le “possibili”: dal momento che il nostro paese consuma circa 55 milioni di tonnellate (55,3 Mtep nel 2021, dato Unem) ne avremmo per meno di 4 anni usandole tutte o circa in appena un anno e mezzo contando solo quelle certe.

E poi nche rivedendo il Pitesai per dare spazio alle trivelle, un’eventuale crescita della produzione dei giacimenti italiani non arriverebbe in tempo per mitigare la crisi in corso.

Identificare nuovi giacimenti, svilupparli e mettere in produzione i pozzi richiede infatti anni, e solo in caso di giacimenti già coltivati possono bastare mesi.

Questioni politiche a parte, poi, va detto, come ricordava il think tank Ecco, che il gas nazionale non costa meno di quello importato, perché scambiato in mercati organizzati come prodotto indistinto, a prescindere che sia stato importato o prodotto localmente, a un prezzo che è influenzato solo dal rapporto tra offerta complessiva e domanda a livello europeo.

In sostanza, se anche l’Italia potenziasse la sua offerta di gas, questa maggiore disponibilità sarebbe irrilevante in confronto alle dinamiche complessive del mercato.

Il gas nazionale ha poi sì minori costi di trasporto, ma i suoi costi di estrazione sono generalmente molto più alti, perché viene estratto da giacimenti più piccoli e marginali rispetto a quelli dei grandi esportatori internazionali.

Insomma, con gas e petrolio nazionali, potremmo avere un impercettibile miglioramento della sicurezza energetica nazionale, che sarebbe un tamponamento temporaneo e marginale; arriverebbe troppo tardi e ci distrarrebbe dagli investimenti che invece dobbiamo fare subito: quelli per liberarci dalla dipendenza dalle fossili, con l’efficienza energetica e le rinnovabili.

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