“Fuori le biomasse legnose dal target rinnovabili”, appello alla Corte di Giustizia Ue

Varie organizzazioni no-profit si sono rivolte alla Corte europea per chiedere lo stop alle bioenergie: aspettando di vedere se la loro azione sarà accolta, vediamo i motivi che le spingono a bocciare queste risorse “rinnovabili”.

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Altro che zero emissioni: le biomasse legnose possono inquinare perfino più del carbone.

A scagliarsi contro l’utilizzo su vasta scala di bioenergie per produrre elettricità e calore è un gruppo di organizzazioni no-profit e cittadini di sei paesi (Estonia, Francia, Irlanda, Romania, Slovacchia, Stati Uniti) che ieri, lunedì 4 marzo, ha presentato alla Corte di Giustizia Ue un’azione legale che, se sarà accolta, porterà per la prima volta delle associazioni non governative ambientaliste a mettere in discussione una legge europea davanti ai giudici.

Aspettando la pubblicazione online del testo inviato alla Corte, tutte le informazioni sul caso si trovano sul sito web della campagna EU Biomass Legal Case.

In sintesi, l’iniziativa punta l’indice su alcuni aspetti controversi della nuova direttiva Ue sulle fonti rinnovabili, la RED II (Renewable Energy Directive, vedi anche QualEnergia.it) che considera le biomasse forestali alla stregua di un combustibile verde a tutti gli effetti, come se stessimo parlando, ad esempio, di generare energia elettrica con parchi eolici e solari.

Peccato, sostengono le organizzazioni e i cittadini che si sono rivolti al tribunale europeo, che gli impianti alimentati con materie prime legnose emettano più anidride carbonica, per ogni MWh generato, rispetto alle centrali a carbone.

Come confermano diversi studi scientifici citati a supporto dell’azione legale, è sbagliato l’assunto di “neutralità carbonica” applicato dalla direttiva alle biomasse di origine forestale.

Tale assunto, infatti, presuppone che la CO2 emessa al punto di utilizzo (con la combustione della legna) sia istantaneamente pari a zero, perché conta sul fatto che l’anidride carbonica rilasciata nell’aria sarà poi compensata da una stessa quantità di CO2 assorbita dagli alberi quando saranno nuovamente cresciuti.

Tuttavia, evidenziano i ricorrenti, una foresta tagliata a scopo energetico impiega decenni a ricrescere, quindi il suo potenziale di assorbimento di anidride carbonica è tutto fuorché immediato, ma la direttiva “sorvola” su questo scarto temporale.

In sostanza, affermano le organizzazioni ambientaliste, è sbagliato includere l’uso di biomasse legnose nell’obiettivo del 32% per le rinnovabili al 2030.

Più in dettaglio, secondo i ricorrenti, promuovere questo tipo di bioenergie è contrario all’articolo 191 del trattato sul funzionamento dell’Ue, secondo cui la politica ambientale europea contribuisce a perseguire una serie di obiettivi, tra cui la salvaguardia della qualità dell’ambiente, la protezione della salute umana, l’uso accorto e razionale delle risorse naturali, la lotta ai cambiamenti climatici.

In altri termini, la logica della RED II violerebbe il principio di precauzione sancito dal trattato.

Deforestazione e incremento complessivo delle emissioni inquinanti, si legge nella nota pubblicata sul sito della campagna, sono le due principali conseguenze indesiderate di una diffusione massiccia delle bioenergie legnose (tra l’altro, la deforestazione può avvenire anche in altri continenti: ampie zone degli Stati Uniti, ad esempio, sono disboscate per produrre il pellet da esportare in Europa).

I promotori della causa legale contro l’impiego di biomasse forestali, inoltre, sostengono che i criteri di sostenibilità ambientale adottati dalla direttiva sono del tutto insufficienti perché finiscono per escludere, grazie anche a diverse “scappatoie”, la maggior parte delle emissioni di CO2 associate all’utilizzo di tali biomasse in campo energetico.

Intanto i numeri delle biomasse restano molto elevati: basti ricordare che, a livello Ue, il 60% circa di tutta l’energia definita come “rinnovabile” nei vari settori (generazione elettrica, riscaldamento, trasporti) proviene proprio da loro, dalle biomasse.

In Italia, secondo i dati statistici del GSE sul 2017, le bioenergie hanno dato il contributo in assoluto più rilevante ai consumi finali lordi di energia da rinnovabili: 10,9 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) di cui la maggior parte (8,2 Mtep) riguardano il settore termico con relativi problemi per la qualità dell’aria. Staccato nettamente l’idroelettrico in seconda posizione, con 4 Mtep su 22 totali di consumi energetici “verdi” nel nostro paese.

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