Di fronte agli enormi problemi del mondo, accresciuti dall’emergenza climatica, e alle risorse necessarie, proprio uno dei temi centrali della COP29, le sparate di Elon Musk sembrano anche oltraggiose.
Pensiamo ad esempio che il governo spagnolo ha stanziato oltre 10 miliardi di euro come parziale sostegno per i danni dell’alluvione di Valencia (le richieste sono di 31 mld €), e che gli eventi estremi negli Usa hanno causato nel 2024 oltre 500 miliardi $.
E alla COP29 i paesi meno sviluppati pensano che il sostegno di 100 miliardi $/anno dal 2020 (faticosamente e solo parzialmente recuperati) debba in futuro almeno decuplicarsi.
Il geniale tycoon sembra invece interessato ad altre sfide, piuttosto che al clima e al miglioramento delle condizioni di miliardi di persone.
Guarda lontano, molto lontano. Pensa infatti che occorra permettere alla specie umana di evitare l’estinzione sul lungo periodo. Ma facciamo un passo indietro.
Nel 2001, in una cena, Musk ha conosciuto il famoso ingegnere aerospaziale Robert Zubrin, fondatore della Mars Society. Affascinato dalle sue suggestioni, agli amici che gli chiedevano quali fossero i suoi progetti futuri, Musk rispose: «Ho intenzione di colonizzare Marte. La mia missione nella vita è rendere l’umanità una civiltà multi-planetaria».
Ed essendo diventato l’uomo più ricco del mondo ha anche definito programmi operativi, ipotizzando entro due anni il lancio di un satellite senza equipaggio, cui dovrebbero seguire i primi viaggi con equipaggio verso Marte tra 4 anni.
Mentre Zurbin, a trent’anni dal suo primo libro ha ipotizzato anche le modalità della colonizzazione di Marte, con l’obiettivo a medio termine di stabilire sul pianeta rosso un insediamento di 50mila persone, Musk ha progetti molto più ambiziosi, prevedendo l’invio su Marte di mille astronavi, ognuna con cento passeggeri, per stabilire una fiorente comunità di un milione di persone, pronosticando l’invio dei primi pionieri nel 2029.
Un ottimismo sconfinato che contrasta con l’osservazione di Italo Calvino che dopo le prime foto della sonda Viking nel 1976 parlò di “uno sfasciume di pietre” in un articolo sul Corriere dal titolo eloquente: “Un deserto in più”.
Tornando alla sfida di Marte, considerando che la sua temperatura media si aggira intorno ai -60 °C, con una minima può arrivare a -150 °C, una delle idee folli di Musk è quella di usare bombe nucleari sui poli per vaporizzare il ghiaccio e cambiarne il clima.
Inoltre, gli astronauti in viaggio verso Marte sarebbero esposti in modo continuo a una quantità di radiazioni pari a quelle di centinaia se non migliaia di radiografie del torace.
Malgrado le enormi difficoltà, Musk ritiene che gli esseri umani potrebbero vivere lì in una città autosufficiente fra 20 anni.
Per quanto riguarda i costi, mentre la fortuna personale sia stimata di Musk in 250 miliardi di dollari, il finanziamento della corsa su Marte farebbe impallidire i 280 miliardi di dollari (in denaro di oggi) spesi dalla Nasa per il programma Apollo per andare sulla luna nel 1969.
La costruzione di una città autosufficiente su Marte richiederebbe almeno un milione di tonnellate di attrezzature, per un costo di oltre 1.000 trilioni di dollari. Una cifra, che supera di gran lunga l’attuale Pil degli Stati Uniti di 29.000 miliardi di dollari. Ma Musk ritiene che i progressi nella tecnologia missilistica potrebbero ridurre drasticamente questi costi.
Aldilà della fattibilità e difficoltà del progetto, è chiaro comunque che si tratterebbe di una colossale diversione di risorse rispetto agli enormi problemi che l’umanità si troverà ad affrontare nei prossimi decenni a causa dei mutamenti climatici.
Estratto dall’editoriale del n. 5/2024 della rivista bimestrale QualEnergia.