William Stanley Jevons colpisce ancora, anche se è morto da 140 anni.
L’economista inglese, nel lontano 1865, si accorse di una cosa strana: più si aumentava l’efficienza delle macchine a vapore, così che producessero di più con meno carbone, e più carbone veniva estratto dalle miniere.
La ragione la scoprì rapidamente, spiegandola nel saggio The Coal Question: più le macchine diventavano efficienti e più il loro lavoro costava meno, così che venivano acquistate e applicate in sempre maggiori quantità e settori, finendo per richiedere complessivamente più carbone di prima.
A quel tempo la cosa deve essere stata interpretata in modo positivo, come dimostrazione del potere della tecnologia e della scienza di aumentare il giro di affari economico e quindi il benessere della popolazione.
Ma oggi il “paradosso di Jevons” (rebound effect) è uno dei principali spauracchi della transizione energetica: hai voglia a sperare che rendere le auto, le lampadine o le caldaie più efficienti, porti a far crollare le emissioni, se poi la risposta del mercato sarà di usare di più quelle auto, lampadine e caldaie.
Come si è poi scoperto, l’effetto Jevons può agire non solo in modo diretto, come nel caso del carbone, ma anche indiretto: se una persona migliora la sua efficienza energetica, finisce per spendere di meno per muoversi e scaldarsi, e potrebbe spendere quei risparmi in consumi che aumenteranno la sua impronta climatica in altri settori.
Ricerche economiche in passato, però, sono state abbastanza rassicuranti sull’entità di questo rimbalzo nei consumi e nelle emissioni, stimando che potrebbe ridurre in media del 30% il risparmio di energia ed emissioni conseguiti con la maggiore efficienza, con appena un 10% di riduzione nel caso dei trasporti.
Adesso però una nuova ricerca, condotta dall’economista dell’energia Paul Brockway, della Università di Leeds, riesaminando 33 studi sul “rimbalzo” dovuto all’aumento di efficienza, ha prodotto una nuova, preoccupante, stima di quanto il paradosso di Jevons rischi di minare gli sforzi per mettere sotto controllo le emissioni.
«L’aumento dell’efficienza nell’uso dell’energia è uno dei pilastri delle strategie di decarbonizzazione: circa il 40% dei risultati attesi, dovrebbero arrivare da questi miglioramenti tecnologici», dice Brockway. «Purtroppo credo che si sia stati un po’ troppo ottimisti al riguardo».
Il gruppo dell’economista di Leeds ha applicato i risultati dei vari studi a un suo nuovo e più preciso modello.
«La nostra conclusione, facendo una media dei risultati degli studi considerati, è che il rimbalzo globale, post-aumento di efficienza, si mangi il 50% dei previsti cali di emissioni, con punte anche dell’80%, in nazioni come la Cina, che partono da consumi mediamente bassi».
Un esempio della potenza del rimbalzo nel caso diretto lo dà anche uno studio danese (vedi sotto) sui consumi energetici stimati ed effettivi in 143mila abitazioni, suddivise nelle classi energetica A-G.
Ebbene nelle case meno efficienti, i consumi teorici erano 7 volte più alti di quelli della classe A. Ma, considerando i consumi effettivi, la differenza fra case colabrodo e ben isolate scendeva ad appena 2,5 volte, sia perché chi stava in classe G tendeva a usarne circa il 30% in meno del teorico, probabilmente per risparmiare, ma soprattutto perché chi stava in classe A tendeva al contrario a usarne quasi 3 volte di più del previsto.
Per il caso indiretto, cioè l’effetto del risparmio energetico sull’aumento di altri consumi, può essere d’esempio uno studio spagnolo (vedi sotto), che il 75% della riduzione di emissioni susseguente alla crescita del 20% di efficienza di produzione elettrica e nei trasporti fra 2005 e 2030, verrà annullata dall’aumento di consumi in altri settori, alimentato dai risparmi conseguiti dagli utenti sulle spese energetiche.
«Ciò che è più preoccupante, però, è che questo rimbalzo non è adeguatamente considerato da chi produce gli scenari economico-climatici per i prossimi decenni», dice Brockway.
«Noi ne abbiamo analizzati sette, redatti da soggetti come l’Iea, l’Ipcc o Greenpeace, e in tutti i casi il rimbalzo delle emissioni dovuto all’aumento di efficienza energetica è gravemente sottostimato, con valori che vanno da una media del 30%, fino ad appena il 10%. Questo rischia di produrre strategie insufficienti a contenere il cambiamento climatico: occorre assumere un atteggiamento più realistico nel valutare l’effetto Jevons, e adeguare le misure per compensarlo, per esempio prevedendo fin da subito una maggiore installazione di impianti a energie rinnovabili, per coprire l’aumento dei consumi dovuto al rimbalzo».
Ma invece di limitarci a inseguire il paradosso di Jevons, non ci potrebbero essere anche misure per bloccarlo, via via che l’efficienza energetica aumenta?
In questo sito di discussione sui temi energetici californiano viene proposta la via più ovvia: aumentare il costo dell’energia, attraverso tasse, via via che questa viene prodotta in modo più efficiente, così che all’utente costi sempre uguale, e non si incentivino con i risparmi aumenti di consumi ed emissioni.
Con le tasse così raccolte si possono poi implementare politiche, come il rinforzo dei trasporti pubblici o la produzione da fonti rinnovabili, che offrano alternative ai sistemi più energivori e inquinanti.
Forse Jevons sarebbe d’accordo con la proposta, ma difficilmente sarà ripresa dall’attuale politica, attentissima a non fare nulla di impopolare, fosse pure per salvare il pianeta da un disastro climatico.
Gli studi citati:
Energy efficiency and economy-wide rebound effects: A review of the evidence and its implications
Studio danese (pdf in lingua danese)
Consumer-side actions in a low-carbon economy: A dynamic CGE analysis for Spain
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