Direttiva case green, giorni decisivi a Bruxelles per gli incentivi alle caldaie a gas

La Commissione europea dovrà decidere a breve che cosa intendere esattamente per "caldaia a combustibili fossili", ai fini della corretta applicazione della direttiva EPBD su quali apparecchi saranno ammissibili ai finanziamenti pubblici dopo il 2025.

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Sono settimane cruciali per capire quale sarà il futuro delle caldaie a gas nelle nostre case: saranno ancora finanziabili con i bonus edilizi o altri meccanismi di sostegno? Quali caratteristiche dovranno avere per essere ammesse ai finanziamenti?

Entro l’estate è attesa una decisione da parte della Commissione europea su cosa dobbiamo intendere esattamente per “caldaia a combustibili fossili”, nell’ambito della direttiva EPBD 2024/1275 (Energy Performance of Buildings), anche nota come direttiva sulle case green.

Il testo è stato pubblicato l’8 maggio sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue dopo l’approvazione finale degli Stati membri al Consiglio. Prevede diverse misure, tra cui obiettivi di riduzione del consumo energetico medio degli edifici residenziali e obblighi di installare impianti fotovoltaici su diverse categorie di immobili.

Ci concentiramo ora su un punto particolarmente delicato, quello appunto delle caldaie.

Caldaie a gas, in cerca di una definizione

Al comma 8 dell’articolo 13 della direttiva (Sistemi tecnici per l’edilizia), si legge che “La Commissione pubblica orientamenti per stabilire cosa rientri nel concetto di caldaia a combustibili fossili” (neretti nostri nelle citazioni).

“È una questione urgentissima, perché i Paesi stanno preparando i bilanci per il 2025 e devono sapere se potranno ancora finanziare l’acquisto e l’installazione di queste caldaie dal prossimo anno”, spiega a QualEnergia.it Davide Sabbadin, che sta seguendo da vicino l’evoluzione del dossier (Sabbadin è Deputy Policy Manager per l’energia e il clima presso la rete di associazioni dell’Ufficio europeo dell’ambiente).

Definire con precisione cosa sia un generatore di calore alimentato da fonti fossili è di fondamentale importanza, per applicare il comma 15 dell’art. 17 (Incentivi finanziari, competenze e barriere di mercato): “Dal 1° gennaio 2025 gli Stati membri non offrono più incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche [nel senso di autonome] alimentate a combustibili fossili”.

Fanno eccezione quelle selezionate per gli investimenti, prima del 2025, in conformità ai Piani nazionali di ripresa, al Fondo europeo di sviluppo regionale e al Fondo di coesione.

Nelle riunioni a Bruxelles tra gli stakeholder coinvolti – associazioni dei produttori, gruppi ambientalisti, operatori delle rinnovabili e così via – si sta cercando un compromesso tra posizioni molto distanti tra loro.

Le posizioni in campo

A un estremo, ci spiega Sabbadin, c’è la posizione che sembra essere più in linea con le convinzioni dimostrate finora dall’Italia e dalla maggior parte della sua industria: quella che punta “a consentire di finanziare tutto”, perché le caldaie a gas sono potenzialmente in grado di usare certe percentuali di gas rinnovabili, come idrogeno verde o biometano.

Questa logica lascerebbe le porte aperte agli apparecchi attuali, con magari qualche intervento di “cosmetica” per prepararli al futuro impiego di miscele di gas naturale e idrogeno (le cosiddette caldaie “hydrogen ready”).

Dalla parte opposta, c’è la posizione dei gruppi ambientalisti nell’ambito della campagna Coolproducts, guidata dall’European Environmental Bureau (EEB) e dall’Environmental Coalition on Standards (ECOS).

Per loro, le caldaie a gas, anche se teoricamente in grado di utilizzare percentuali variabili di idrogeno e/o biometano, vanno considerate come “caldaie a combustibili fossili” che quindi andrebbero totalmente escluse dalla possibilità di essere finanziate dallo Stato. Nella direttiva non si parla di un bando alla loro installazione, ma solo di una esclusione da eventuali sostegni finanziari, ed è bene precisarlo con chiarezza.

In sostanza, per gli ambientalisti la definizione di caldaia a combustibili fossili è la seguente: “Un sistema di riscaldamento che utilizza, in tutto o in parte, per la produzione di calore, combustibili solidi, gassosi o liquidi di origine non rinnovabile o realizzati utilizzando energie non rinnovabili”.

Nella bozza della circolare interpretativa della Commissione sull’art. 17 (15) in consultazione negli incontri a Bruxelles, che QualEnergia.it ha potuto sfogliare, l’orientamento dell’esecutivo Ue sembra essere il seguente: una caldaia a gas può essere considerata “non fossile” – quindi ammissibile a finanziamenti pubblici – solo se è installata su una rete locale alimentata prevalentemente da combustibili di origine rinnovabile (al momento dell’installazione della caldaia), quindi idrogeno verde (prodotto con elettrolisi da fonti rinnovabili) oppure biometano.

Tra le proposte circolate, ma non accolte dalla Commissione, almeno per ora, segnala poi Sabbadin, quella di legare la vendita di caldaie a gas “non fossili” a contratti vincolanti almeno decennali per la fornitura di biometano o idrogeno verde certificato, da parte delle società di distribuzione.

In pratica, sarebbe una sorta di “pacchetto” di tecnologia e fornitura fisica, in capo alle utility energetiche, come proposto nel position paper di maggio 2024 di Coolproducts.

Tuttavia, ricorda l’EEB, l’uso dell’idrogeno andrebbe riservato ai settori cosiddetti “hard-to-abate”, come le industrie pesanti, dove è più difficile abbattere le emissioni di gas serra, mentre per il riscaldamento delle abitazioni ci sono alternative molto più efficienti, in primis le pompe di calore elettriche.

Classi di efficienza energetica

Altro aspetto da considerare, citato nella bozza di Bruxelles, è che il regolamento 2017/1369 sull’etichettatura energetica prevede quanto segue: “Quando gli Stati membri prevedono incentivi per un prodotto specificato in un atto delegato, tali incentivi puntano alle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti, o a classi più elevate indicate in tale atto delegato”.

Tuttavia, segnala la Commissione, le caldaie stand-alone, secondo i dati attualmente disponibili, non rientrano in tali classi e quindi non potrebbero essere sussidiate, indipendentemente dal tipo di combustibile (fossile o rinnovabile) utilizzato.

Ma quante rinnovabili nei sistemi ibridi?

All’aticolo 14 della EPBD si legge: “Dovrebbe comunque essere possibile fornire incentivi finanziari per l’installazione di impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili, come la combinazione di una caldaia con un impianto solare termico o con una pompa di calore”.

Quale sarà questa “quota considerevole”?

Qui l’orientamento della Commissione, afferma Sabbadin, “sembra essere quello di lasciare la decisione ai singoli Stati membri, ma il rischio è di far entrare dalla finestra quello che si voleva far uscire dalla porta”, cioè l’uso di gas fossile.

Un compromesso potrebbe essere di lasciare libertà ai governi senza poter scendere sotto una certa soglia minima di rinnovabili, che per i gruppi ambientalisti dovrebbe essere fissata chiaramente almeno al 65%, al fine di evitare di avere caldaie fossili “mascherate” con false credenziali green.

Come detto, Bruxelles non ha specificato quale debba essere la quota di rinnovabili nei sistemi ibridi; ha però evidenziato che gli incentivi finanziari dovrebbero essere indirizzati solo proporzionalmente alla misura in cui le energie rinnovabili sono utilizzate nel sistema di riscaldamento ibrido.

In altre parole, l’installazione di un sistema di riscaldamento interamente basato su fonti rinnovabili dovrebbe essere incentivata maggiormente, rispetto a un impianto combinato che utilizza parzialmente la combustione di combustibili fossili in una caldaia.

Come si vede, le incertezze e le possibili sfumature sono ancora tante: vedremo in queste settimane come si chiuderà la partita delle caldaie a gas.

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