I dazi Ue sulle auto elettriche cinesi possono aiutare l’industria europea a riconquistare quote di mercato, ma da soli non bastano.
Bruxelles deve mantenere dritto il timone della sua politica per ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli, senza cedere alle pressioni di governi e costruttori per ridiscutere gli obiettivi.
Altrimenti, con i soli dazi, le importazioni di vetture made in China non faranno che aumentare.
Queste le principali osservazioni dell’organizzazione indipendente Transport & Environment (TE), dopo il voto Ue che dà campo libero alla Commissione europea di imporre dazi antidumping quinquennali fino al 36,3% sulle automobili elettriche fabbricate in Cina.
La misura vuole proteggere la filiera automotive continentale dalla concorrenza ritenuta sleale dei marchi asiatici; in sostanza, in base alle indagini anti-sovvenzioni di Bruxelles, Pechino avrebbe aiutato in modo indebito le case automobilistiche nazionali, consentendo loro di praticare prezzi molto più bassi rispetto a quelli dei concorrenti occidentali.
Ma il quadro è ancora più complesso e si allaccia alle strategie industriali e commerciali dei costruttori europei, non solo per la produzione di auto elettriche ma anche di batterie.
In un briefing intitolato EU’s Trade Defence (link in basso), si legge che nel 2024 i modelli full electric prodotti in Cina, tra cui quelli di marchi non-cinesi come Tesla, BMW e Volvo, sono destinati a raggiungere un quarto del mercato europeo delle elettriche.
Se saranno applicati i dazi e mantenute al contempo le attuali norme sulla riduzione delle emissioni, la quota dei modelli made in China dovrebbe scendere al 20% nel 2025 e al 18% nel 2026, come mostra il grafico sotto, tratto dal documento.
Invece nel 2025 le auto elettriche cinesi potrebbero arrivare al 27% del mercato Ue, quindi crescere ancora un po’ rispetto a oggi, se l’Europa decidesse di ritardare i suoi target sulle emissioni e affidarsi esclusivamente alle tariffe antidumping.
Questo scenario – soli dazi e posticipando gli obiettivi sulla CO2 – per TE si tradurrebbe in una stagnazione delle vendite di auto elettriche costruite in Europa.
I produttori europei, infatti, si legge nel briefing, “come verificatosi negli ultimi anni continuerebbero a concentrarsi sui motori endotermici, più redditizi, ritardando il lancio di nuove e più economiche auto elettriche, perdendo ulteriore terreno […] rispetto ai competitor internazionali” (si veda anche Prezzi alti e vendite in calo: cosa sta andando storto con l’auto elettrica).
Alcuni Stati membri, come abbiamo scritto, in particolare Italia e Germania, premono per ridiscutere in anticipo il percorso che condurrà all’azzeramento delle emissioni dei veicoli al 2035, tra cui l’obiettivo intermedio al 2025, che impone di ridurre del 15% (rispetto ai valori del 2021) le emissioni medie delle nuove auto.
Intanto il governo italiano ha dato il suo benestare allo stop ai nuovi modelli diesel e benzina dal 2035, ma con tre condizioni, tra cui soprattutto la neutralità tecnologica dando spazio anche all’uso di biocombustibili e idrogeno.
Finora i dazi Ue sui veicoli elettrici cinesi hanno avuto un impatto non univoco, secondo le analisi realizzate da TE sul database EV-Volumes.
Ad esempio, MG ha registrato il più grande calo di sempre nella quota di mercato BEV (Battery Electric Vehicle) in Europa, passando dal 4,1% di agosto 2023 al 2,4% di agosto 2024.
Mentre BYD ha continuato a espandersi, anche se a un ritmo più lento, passando dall’1,6% di agosto 2023 al 2,9% nello stesso mese di quest’anno. Geely invece è salita al 2% del mercato europeo due mesi fa (era 1,3% un anno prima).
L’Europa, si osserva, deve rafforzare la sua strategia anche sul fronte delle batterie.
Si stima, infatti, che il 59% della produzione di batterie prevista per l’Europa è a rischio di non vedere la luce, come riassume il grafico sotto, a causa della concorrenza asiatica e della mancanza di adeguato supporto finanziario e di politica industriale. Ad esempio, per TE urge una norma che premi la produzione di batterie made in Ue a basso impatto ambientale.
La cancellazione di questi progetti comporterebbe una perdita di miliardi di investimenti e di quasi 100.000 potenziali posti di lavoro, evidenzia il documento.
Come ha commentato Andrea Boraschi, direttore di TE Italia, “non ha senso mettere a rischio i miliardi di investimenti nelle gigafactory dell’Ue mantenendo le tariffe di import sulle batterie più basse del mondo, appena sopra l’1%”.
Bruxelles, conclude Boraschi, “deve prendere in seria considerazione misure di difesa commerciale”, sostenendo la produzione domestica con un Fondo europeo per le batterie.
- Briefing TE (pdf)