Alla Cop 27 apertura Ue al fondo globale “perdite e danni”: il punto e i possibili scenari

  • 17 Novembre 2022

Nella prima bozza del testo finale si parla di obiettivo 1,5 °C e di uscire gradualmente dal carbone. Non è passata la richiesta indiana di abbandonare tutti i combustibili fossili. Si continua a trattare sul "loss and damage" ora anche con l'appoggio di Bruxelles.

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Proseguire gli sforzi per limitare il surriscaldamento globale a 1,5 °C con la necessità di tagli rapidi e profondi alle emissioni di CO2, accelerare le misure per uscire dal carbone e per eliminare i sussidi inefficienti alle fonti fossili, apertura della Ue a considerare un fondo per le perdite e i danni dei cambiamenti climatici, il cosiddetto loss and damage.

Sono le novità più rilevanti che arrivano dalla Cop 27, la Conferenza Onu sul clima in corso a Sharm El-Sheikh, in Egitto.

Nelle scorse ore la presidenza egiziana della Cop ha fatto circolare una prima bozza del testo finale, da prendere però con le pinze, perché i contenuti saranno sicuramente modificati nei prossimi giorni e la versione definitiva potrà essere molto diversa.

È ancora presto per fare un bilancio di questo vertice sul clima, ma si possono già intravedere alcune luci e tante ombre nei negoziati, che si trovano al bivio tra un parziale successo e un sostanziale fallimento, in base a come verranno sviluppati alcuni temi fondamentali.

Il linguaggio della bozza in molti punti ripete quello usato alla precedente Cop 26 di Glasgow: è positivo, in particolare, che sia rimasto il riferimento allo sforzo di contenere gli aumenti di temperatura a 1,5 °C (si temeva che questo impegno venisse abbandonato e che si parlasse solo di +2 °C).

Ma in tema di combustibili fossili, almeno per il momento, non è passata la richiesta indiana – appoggiata anche dalla Ue – di eliminare gradualmente tutte le risorse fossili, quindi non solo il carbone ma anche il gas e il petrolio. Si continua a parlare solo di un abbandono graduale del carbone cosiddetto “unabated”, cioé degli impianti che non sono equipaggiati con tecnologie per catturare le emissioni di CO2.

Nel testo poi mancano dettagli su come e quando istituire un fondo per le perdite e i danni.

Perché il “loss and damage” è così importante?

Realizzare un fondo globale di questo tipo potrebbe dare una svolta storica al negoziato sul cambiamento climatico. Per loss and damage, infatti, si intendono le perdite e i danni associati agli eventi estremi, come alluvioni, innalzamento dei mari, siccità, tifoni, desertificazione.

Tali eventi, ricordiamo, secondo la scienza del clima stanno diventando sempre più intensi e frequenti a causa del global warming, a sua volta provocato dalle emissioni di CO2 delle attività umane in cui predomina un utilizzo di carburanti fossili (trasporti, industrie, produzione di energia, agricoltura).

Sono soprattutto i Paesi più poveri a essere maggiormente esposti a perdite e danni, perché hanno ecosistemi spesso vulnerabili ed economie fragili, con poca o nulla capacità finanziaria per gestire ingenti rischi climatici.

In pratica, applicare il loss and damage è applicare il principio “chi rompe paga”. Chi ha rotto, e continua a rompere gli equilibri biofisici del pianeta a causa delle sue attività economiche e industriali a elevate emissioni di gas serra, deve pagare i danni ecologici.

Quindi il loss and damage è strettamente collegato alla responsabilità climatica dei Paesi più ricchi, come Europa e Stati Uniti, che hanno contribuito nella misura più rilevante a emettere CO2 e realizzare un mix energetico incentrato su carbone, gas e petrolio.

Un fondo globale per le perdite e i danni potrebbe dare un forte incentivo a governi e multinazionali per ridurre più rapidamente le emissioni ed eliminare le fonti fossili.

Ma è difficile far accettare una responsabilità finanziaria che ammonterebbe a decine, centinia di miliardi di dollari su scala mondiale.

Un gruppo di 134 Paesi in via di sviluppo più la Cina – battezzato G77 – ha chiesto di creare uno strumento finanziario per il loss and damage da rendere operativo nel 2024, dopo che nel 2023 un comitato tecnico internazionale avrà definito come dovrà funzionare.

Va detto che la Cina ha un ruolo ambiguo: è il più grande investitore nelle energie rinnovabili e il primo emettitore mondiale di gas serra a causa della sua dipendenza dal carbone. Finora ha giocato su due tavoli – quello di superpotenza e quello di economia emergente – ma a un certo punto Pechino dovrà chiarire queste contraddizioni.

Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea e responsabile delle politiche Ue per il clima, alla Cop 27  ha detto che la Ue vuole essere “un costruttore di ponti”, aprendo le porte al fondo loss and damage a condizione che vi partecipi anche la Cina.

Finora la Ue – ma al suo interno ci sono posizioni differenti – si era opposta a un riconoscimento formale di un fondo per le perdite e i danni, sostenendo che si possono usare altri sistemi di aiuto e finanziamento per risarcire i Paesi colpiti dai disastri ambientali.

Una proposta, sostenuta in particolare dalla Germania e da altri membri del G7, è quella del Global Shield, un maxi scudo assicurativo contro i rischi climatici, che però potrebbe risolvere solo in parte il problema, anche perché lascerebbe fuori il tema delle responsabilità storiche dei Paesi più ricchi e industrializzati.

Potrebbe diventare uno strumento utile, a patto che non sia il solo e che non si perda di vista la necessità di costruire un fondo loss and damage.

Vedremo se le aperture di Timmermans avranno un seguito, magari coinvolgendo anche gli Stati Uniti, che ora sembrano sempre più isolati nel rifiutare il principio delle perdite e danni.

Le decisioni adottate alla COP27

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