Con più energie rinnovabili l’Europa guadagnerà in lavoro e Pil

Più occupazione e crescita economica: le stime di Eurofound al 2030 per una nuova politica industriale di transizione energetica basata sulle tecnologie pulite.

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Più posti di lavoro e Pil in crescita: l’Europa avrebbe un impatto economico positivo se finanziasse la transizione energetica in linea con l’obiettivo di Parigi 2015: contenere l’aumento delle temperature medie sotto 2 gradi centigradi entro la fine del secolo, rispetto all’età preindustriale.

A tale conclusione è giunto lo studio pubblicato da Eurofound, l’agenzia europea per le politiche sociali e del lavoro, Employment implications of the Paris Climate Agreement (allegato in basso).

Qual è allora il futuro dell’industria, soprattutto manifatturiera, nei 28 Stati membri?

L’analisi, basata sul modello macroeconomico E3ME sviluppato da Cambridge Econometrics, stima che l’Unione europea potrebbe aumentare il prodotto interno lordo e l’occupazione al 2030, rispettivamente, del +1,1% e +0,5% rispetto alle previsioni “business as usual”.

In sostanza, lo studio ha stimato come cambierebbe il sistema produttivo europeo se tutti i paesi fossero coinvolti a realizzare un’economia a basso impatto ambientale, riducendo le emissioni di anidride carbonica in tutti i settori (trasporti, edilizia, generazione elettrica, ecc.) come richiesto dagli accordi internazionali sul clima e investendo massicciamente in fonti rinnovabili.

Con i due grafici seguenti (figure 3-4 a pag. 10 dello studio, l’acronimo FOME citato come fonte significa Future of Manufacturing in Europe e identifica il progetto che ha originato la pubblicazione), vediamo quale sarebbe l’impatto al 2030 della transizione “verde” sul Pil e sull’occupazione nei singoli paesi, in differenze percentuali rispetto alla “baseline”.

L’Italia sarebbe poco sotto la media complessiva Ue per quanto riguarda il Pil (+0,8% circa), mentre nell’occupazione farebbe segnare un +0,5% quindi in linea con il dato complessivo.

Gli autori del documento precisano che queste proiezioni si fondano su alcuni assunti, tra cui, ad esempio, l’assenza di frizioni/contrasti nel mercato del lavoro.

In altre parole: si assume che la forza lavoro si adatterà rapidamente alla transizione energetica, a livello di competenze richieste, ma questo dipenderà in massima parte dalle politiche dei vari governi.

Si assume poi che non ci saranno barriere agli investimenti in tecnologie pulite, e che ogni Stato manterrà le sue capacità industriali in certi settori anche dopo i cambiamenti tecnologici: ad esempio, i grandi costruttori di auto e camion con motori termici diventeranno grandi produttori di veicoli elettrici, e così via (e prevedibilmente, il comparto minerario sarà quello che perderà il maggior numero di posti di lavoro nello scenario di transizione al 2030).

Sarà proprio così?

Molto interessante, a questo punto, sarà vedere come evolverà il mix economico ed energetico della Germania, che ha appena avanzato l’idea di eliminare del tutto il carbone entro il 2038, con una serie di punti interrogativi su come riconvertire quella parte di tessuto industriale che oggi gravita intorno alle fonti fossili (vedi qui per approfondire dati e tendenze sulla Germania).

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