Come e perché il conflitto in Ucraina può accelerare gli investimenti green globali

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Il commento di T. Rowe Price (asset manager Usa) sui possibili impatti finanziari della guerra di Putin, con particolare attenzione ai settori Esg.

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La guerra di Putin in Ucraina avrà impatti duraturi sugli investimenti globali: con quali conseguenze?

È Maria Drew, Director of Research – Responsible Investing di T. Rowe Price (asset manager Usa con 1.600 miliardi di $ in gestione) a fare il punto sui possibili scenari aperti dal conflitto russo-ucraino per quanto riguarda la finanza mondiale.

Il focus delle sue considerazioni è sugli investimenti Esg (Environmental, social and governance) che rispettano determinati criteri ambientali, sociali e di governance aziendale.

In una nota, Drew sostiene che “le preoccupazioni relative alle violazioni dei diritti umani potrebbero portare a stilare una lista nera di alcune aziende, in aggiunta alle sanzioni legali che sono già state intensificate”.

In questa lista, basata sulla condotta Esg, saranno probabilmente incluse le aziende strettamente legate al conflitto, così come le società che finanziano o supportano il governo russo, come quelle che vendono armi e quelle del settore oil & gas e minerario.

In Europa, oltre alle sanzioni imposte dai governi, scrive Drew, “stiamo già vedendo società con asset russi prendere decisioni rapide. Per esempio, BP ha annunciato che liquiderà la sua partecipazione in Rosneft, mentre Shell ha annunciato che uscirà dalle joint venture con Gazprom e altre entità affiliate”.

Anche Norges Bank Investment Management, entità che gestisce il fondo sovrano norvegese da 1.300 miliardi di dollari, ha annunciato il congelamento di tutti gli investimenti in Russia.

Intanto la transizione verso le energie rinnovabili potrebbe accelerare in Europa nei prossimi anni, spinta dalla necessità di variare e ridurre gli approvvigionamenti di fonti fossili, al fine di ottenere una maggiore sicurezza e stabilità delle forniture e a minor costo complessivo.

Drew ricorda che la Russia rappresenta il 12% della produzione globale di petrolio e il 18% della produzione globale di gas naturale, con una dipendenza dai rifornimenti russi oil & gas molto più alta per i Paesi europei. Nel 2020, oltre metà delle esportazioni di petrolio di Mosca è andata in Europa, così come la maggior parte (85%) delle esportazioni russe di gas.

Crediamo, prosegue Drew, “che l’attuale shock dei prezzi e le preoccupazioni sulla sicurezza degli approvvigionamenti dalla Russia abbia potenzialmente agevolato la progressione del Green Deal“, anche se “è molto difficile modificare l’approvvigionamento energetico in tempi rapidi senza incorrere in costi più elevati e danneggiare l’economia”.

Lo scenario attuale, secondo l’esperta di T. Rowe Price, “porta l’Unione Europea ad avere un’altra ragione molto forte per spingere verso una transizione energetica più incisiva e più veloce” e questo “vorrà dire investire nelle energie rinnovabili, ma forse, cosa ancora più importante, significherà anche investire nell’efficienza energetica […] nell’elettrificazione e in altre pratiche che possono ridurre la dipendenza dal petrolio e dal gas“.

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