Centri dati: pubblicate le linee guida per le valutazioni ambientali

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Le linee guida del Mase comportano i soliti adempimenti elefantiaci, ma il segmento dei data center italiani non dovrebbe risentirne più di tanto, almeno nel breve termine.

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Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase) ha pubblicato le linee guida per la valutazione ambientale dei Centri elaborazione dati (Ced), più comunemente detti “centri dati” o “data center”.

Il documento ricalca le norme in materia ambientale già esistenti (D.lgs. 152/2006) ed è da mettere a fattore comune con le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale (Linee Guida SNPA 28/2020).

L’obiettivo del Mase è definire i principali aspetti legati ai centri dati soggetti a valutazione ambientale, descrivendo i metodi di valutazione applicabili e chiarendo come adempiere agli obblighi previsti dalla normativa di settore.

“Secondo le stime dell’Unione Europea i Data Center rappresentano quasi il 3% della domanda di elettricità dell’Ue, percentuale che molto probabilmente aumenterà nei prossimi anni, con la conseguente necessità di indirizzare gli operatori a nuovi progetti e sviluppi di efficienza nei Data Center al fine della sostenibilità ovvero efficacia nell’utilizzo dell’acqua, fattore di riutilizzo dell’energia, o uso delle rinnovabili, il riutilizzo del calore di scarto nelle strutture e nelle reti vicine”, spiega una nota del Mase.

Autorizzazioni per i centri dati

Rispetto alla normativa già in vigore, le nuove linee guida redatte dalla commissione tecnica Via-Vas del Mase specificano quali delle procedure esistenti si debbano applicare ai centri dati con generatori di emergenza di potenza termica nominale complessiva superiore a 50 MW.

Ove la potenza termica nominale dei gruppi di emergenza sia superiore a 50 MW si ricade in attività IPPC soggetta ad autorizzazione integrata ambientale (AIA), ragion per cui è necessario che il proponente acquisisca preventivamente il provvedimento di esclusione da VIA o il provvedimento di compatibilità ambientale prioritariamente rispetto al rilascio e di ogni altra autorizzazione”, si legge nelle linee guida, dove per attività IPPC si intende “Integrated Pollution Prevention and Control” ovvero controllo e prevenzione integrata dell’inquinamento.

Il procedimento di AIA dovrà essere attivato in tutti i casi in cui è previsto un impianto termico con potenza superiore a 50 MW. L’AIA potrà contemplare sia attività IPPC che attività non IPPC ricomprese nella stessa installazione”, recitano le linee guida.

Ai fini dell’assoggettamento a VIA avranno particolare importanza: il consumo di suolo con riferimento alle aree che presentano maggiori criticità sul territorio italiano (Atlante Nazionale del Consumo di Suolo); le condizioni di qualità che caratterizzano il territorio interessato dal progetto con riferimento alle aree di criticità individuate dalle procedure di infrazione comunitaria”, specificano le linee guida (neretti nostri).

Criteri legati alle rinnovabili

Il documento cita le rinnovabili sia in relazione alla disponibilità di generazione rinnovabile nella zona generale dove sorgerà l’impianto, sia in relazione alla necessità di dotare il centro dati stesso di capacità di generazione fotovoltaica.

Per la collocazione dei nuovi centri dati gli operatori devono dare “priorità ai siti dismessi che dispongono in molti casi di adeguata infrastrutturazione e sono ben posizionate rispetto ai nodi di trasporto principali, aree con disponibilità di energia a basso costo (preferibilmente energie rinnovabili), aree a una certa distanza dai centri abitati e dove possono contare su economie di agglomerazione in grado di sfruttare economie di scala e di localizzazione, aree da rigenerare, aree a bassa densità di impianti, aree dove realizzare economie di sistema, impianti ecosistemici (teleriscaldamento, CER, ecc.), aree climaticamente più idonee”.

Il documento ribadisce poco dopo che “si devono prediligere siti dove la produzione di energia da fonti rinnovabili è già cospicua e le risorse ambientali favoriscono dispersione degli inquinanti prodotti”.

Le linee guida specificano poi che per i nuovi centri dati “deve essere prevista una produzione di energia da fonti rinnovabili, con la massima copertura possibile con impianti fotovoltaici di tetti, tettoie e superfici impermeabilizzate comprese quelle eventualmente previste per le aree di parcheggio”.

Si sottolinea, inoltre, che “deve essere previsto, ove possibile, il recupero per il raffreddamento e fatto utilizzo della geotermia per il condizionamento degli spazi interni. Dovranno essere adeguatamente individuati e distinti gli usi per raffreddamento industriale diretto o indiretto e quelli riconducibili a geotermia in impianti a pompa di calore, anche per dei corretti regimi da applicare alle eventuali concessioni di derivazione e alle autorizzazioni allo scarico”.

Sviluppo dei centri dati in Italia

Da tempo il mercato europeo dei data center è dominato dalla cosiddetta regione FLAP-D, acronimo di “Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino”, che concentra il maggior numero di data center dell’Europa occidentale. Da qualche tempo, invece, si nota la crescita del settore nei Paesi adiacenti alla regione FLAP-D, come Italia, Spagna e Portogallo.

Gli investimenti nel settore italiano dei data center sono infatti destinati ad aumentare fino a 15 miliardi di euro entro il 2025, anche da parte di grossi operatori, secondo i dati dell’Osservatorio Data Center, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano.

Nel 2023, il comparto dei centri dati italiani ha registrato un’accelerazione senza precedenti. Ben 23 società, di cui otto nuove entranti sul mercato italiano, hanno annunciato l’apertura di 83 nuove infrastrutture nel periodo entro il 2025.

Le nuove iniziative hanno portato a una crescita della potenza energetica dei centri dati attivi sul territorio di 80 MW, con la potenza totale dei data center in Italia che è salita a 430 MW, con un balzo del 23% rispetto al 2022 e un mercato italiano del cloud che vale oggi oltre 5,5 miliardi di euro.

A guidare questa crescita in Italia rispetto ai Paesi tradizionalmente forti nel comparto sono stati vari fattori, secondo Massimo Bandinelli, responsabile marketing di Aruba.

I Paesi FLAP-D scontano, ad esempio, le crescenti preoccupazioni per l’utilizzo dell’energia dei centri dati, come in Olanda, dove il governo ha imposto un blocco di nove mesi delle autorizzazioni per i siti di dimensioni superiori a 10 ettari.

Dal punto di vista geografico, le regioni emergenti per i data center, come l’Italia e la Spagna, sono situate in punti strategici per le aziende che desiderano espandersi in più continenti. Grazie al loro ruolo di crocevia tra l’Europa e il Mediterraneo, Paesi come Italia e Spagna offrono una forte connettività con i mercati del Nord Africa e del Medio Oriente, oltre a disporre di connettività con l’Europa settentrionale e occidentale. Questa vicinanza offre una latenza più bassa e una connettività più veloce, assicurando che le aziende possano servire senza problemi la loro base globale di clienti.

Dal punto di vista normativo, le aziende che operano in Italia sono soggette a leggi severe sulla protezione dei dati, in particolare, il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) dell’Ue.

Ciò comporta che le aziende non europee che operano nel vecchio continente possono più facilmente conformarsi a queste normative, che spesso richiedono una condotta leggermente diversa rispetto alle operazioni al di fuori dell’Ue. Affidarsi ad operatori italiani consente insomma di offrire servizi conformi alle leggi europee, riducendo il rischio di sanzioni e violazioni delle norme sulla privacy.

A queste condizioni si aggiunge anche la crescita della qualità dei fornitori nostrani di servizi cloud, ha indicato Bandinelli.

Adempimenti sempre elefantiaci

Tratteggiati alcuni criteri salienti del nuovo documento del Mase e sottolineata la crescita del comparto, vale la pena indicare che le nuove linee guida pongono sugli operatori del settore l’onere di rispettare le stesse decine di adempimenti che gli operatori di altri settori, come quello delle rinnovabili, si sono ormai abituati a fronteggiare.

Le condizioni favorevoli di contesto appena accennate hanno consentito ai data center di crescere in Italia, ma il fatto che procedure autorizzative elefantiache siano ormai una prassi non le rende meno pesanti, intrusive e potenzialmente scoraggianti.

A parte dare una maggiore certezza formale agli operatori, la sostanza di queste linee guida potrebbe essere snellita molto, senza togliere niente alla tutela del territorio o alla promozione delle rinnovabili.

Gli operatori dei centri dati, soprattutto i più grandi, sono già ben consapevoli da soli che è necessario assicurarsi forniture rinnovabili a basso costo, risolvere le questioni legate all’accesso alla rete e instaurare un buon rapporto con i territori.

Una volta che le condizioni di contesto favorevoli venissero meno, o che fattori di costo come l’elettricità e l’accesso alla rete peggiorassero, non è la sostanza di queste linee guida che convincerà gli operatori a rimanere in Italia, a parità di tutela di clima e ambiente.

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