Il 29 maggio il Wall Street Journal riportava un articolo sul successo commerciale dei sistemi di raffreddamento per data center, per i quali abbiamo anche un’eccellenza italiana la Thermokey.
L’articolo spiegava che secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, il consumo di elettricità per i data center negli Stati Uniti dovrebbe crescere di circa il 30% dal 2022 al 2026 fino a raggiungere i 260 TWh.
Si tratta di circa il 6% della domanda totale di elettricità nel paese, ovvero sufficiente ad alimentare 24 milioni di case americane per un anno.
Non amo l’uso delle unità di misura tipiche dei giornali e ai terawattora (all’anno, ndr) e ai milioni di case (famiglie), preferisco i watt pro capite.
Quindi mi è venuta voglia di controllare la tesi che i data center rappresentino già un fenomeno energeticamente rilevante, più rilevante dell’illuminazione stradale, per fare un esempio.
Per non fare troppa fatica o errori banali ho chiesto a ChatGTP a quanti Watt pro-capite corrispondessero 260 TWh/anno: immediatamente mi ha risposto 89 W.
Non certo un numero impressionante visto che il cittadino americano è mediamente responsabile di un consumo di energia primaria di oltre 10 kW. Come percentuale del consumo di energia primaria è dunque circa lo 0,88%, il che implicherebbe che la famiglia media americana fosse composta da più di 100 persone!
Forse il giornalista del WSJ pensava che fosse più significativo usare nel confronto solo l’energia elettrica e in quel caso la percentuale è 6,4%, percentuale che infatti corrisponde grosso modo al 6% dell’articolo.
Questo però implicherebbe che la famiglia americana sia composta in media da 15,6 individui. Quindi, a meno che il giornalista si riferisca solo al contatore elettrico domestico, che mi sembra veramente irrilevante, l’energia richiesta dai data center va ad attingere al pool complessivo, cioè all’energia primaria.
Il fatto che sia necessariamente elettrica da un punto di vista ambientale è anzi vantaggioso, poiché i consumi elettrici sono già molto più decarbonizzati degli altri.
Ho poi chiesto a chatGTP qual è il numero medio di individui di una famiglia negli Usa e la risposta è stata da 2,5 a 3.
A mio parere quindi le conclusioni del giornalista del WSJ, tra i giornali più attenti alle cifre, erano gonfiate di un fattore 100 a favore della tesi che i data center pesano molto nei consumi energetici e che pertanto sono una brutta notizia per l’ambiente.
Va aggiunto che la tesi principale dell’articolo è che i costi di raffreddamento dei data center siano rilevanti, mentre sappiamo che possono essere solo qualche percento del mediamente irrilevante consumo dell’hardware totale.
Per dare un giudizio dell’importanza dei data center nella nostra vita quotidiana considerate che l’illuminazione pubblica, a mio parere, è causa di un notevole spreco energetico, e consuma altrettanto.
Una stima onesta poi coinvolgerebbe “l’utilità” del compute, quello senza la r, cioè i risparmi che permetterebbe se non fosse che il beneficio di sostituzione del modo tradizionale di fare le cose è inflazionato dalla sua convenienza economica, il cosiddetto effetto rebound.
La domanda se con i computer l’ambiente sta meglio o peggio non può avere una risposta semplice. Si può solo dire che il digitale permette grandi risparmi (energetici) a parità di prodotto finale.