Il CCS di Eni a Ravenna bocciato anche dall’Innovation Fund

CATEGORIE:

Il maxi deposito di CO2 che la partecipata statale vuole realizzare al largo di Ravenna non c'è tra i progetti vincitori del primo bando europeo. Ma ReCommon parla di un articolo del Dl Bilancio che stanzierebbe fondi per il progetto Eni.

ADV
image_pdfimage_print

Già uscito dalla porta del Recovery Plan all’inizio dell’anno, il progetto CCS Eni da realizzare al largo del mare di Ravenna non è riuscito a rientrare “dalla finestra” tramite i fondi dell’Innovation Fund.

Il piano del cane a sei zampe era tra i candidati al primo bando del Fondo Europeo per l’Innovazione, ma non è tra i 7 progetti vincitori e non figura nemmeno tra i 15 che riceveranno assistenza dalla Banca Europea per gli Investimenti.

“Evidentemente non sono soltanto gli ambientalisti ad avere qualche dubbio riguardo il progetto di Eni di realizzare un mega deposito di CO2 a largo di Ravenna”, ha commentato l’associazione ambientalista ReCommon.

Il no secco dell’Europa – insiste ReCommon – mette in seria discussione la credibilità di quest’opera, già molto contestata dall’intero arco della società civile ambientalista italiana, e sarebbe importante conoscere le ragioni della stroncatura.

Ma non è finita qui.

È di pochi giorni fa la notizia, segnala l’associazione, che il governo italiano ha inserito un articolo nella legge di bilancio che potrebbe consentire al progetto di ottenere finanziamenti pubblici.

ReCommon fa riferimento al Fondo per la Transizione industriale che stanzia 150 milioni di euro dal 2022 per i progetti che prevedano il riuso delle materie, efficienza energetica, ma anche stoccaggio e riutilizzo della CO2.

“Scelta che ora andrebbe quanto meno riconsiderata sulla base delle valutazioni fatte dai tecnici di Bruxelles”, prosegue ReCommon.

La tecnologia CCS nella strategia Eni

La cattura della CO2 rappresenta un tassello centrale di quello che Eni definisce il suo piano di decarbonizzazione. Attraverso questa tecnologia Eni afferma di poter prelevare dall’atmosfera ben 50 milioni di tonnellate l’anno di anidride carbonica (al 2050), per poi stoccarle nel sottosuolo o nel fondale marino. Sulla base di quest’assunto, Eni potrebbe pertanto continuare ad emettere CO2 e al contempo sostenere di voler raggiungere la neutralità climatica.

Un po’ come nel caso dei progetti di conservazione delle foreste, attraverso cui la società ambisce a compensare altre 40 milioni di tonnellate l’anno delle sue emissioni, sempre al 2050.

Intanto è finito al centro delle polemiche anche un altro potenziale progetto di CCS di Eni, questa volta in Australia, legato ad uno dei più costosi e inquinanti impianti di gas liquefatto al mondo, il Barossa LNG della società Santos. Il coinvolgimento di Eni deriva da un accordo quadro siglato con la Santos lo scorso maggio che prevede lo sviluppo di progetti comuni tra cui il riutilizzo di giacimenti esausti come pozzi di anidride carbonica.

Ricordiamo che la tecnologia CCS è controversa: assorbire l’anidride carbonica emessa dagli impianti industriali per stoccarla nel sottosuolo è molto costoso e inoltre questa tecnologia non ha ancora dimostrato la sua efficacia né la capacità di raggiungere economie di scala per ridurre gli ingenti investimenti iniziali, tanto che i progetti di questo tipo si sono arenati in tutto il mondo.

Per un approfondimento si veda l’articolo Catturare la CO2 per salvare il clima: chi ci scommette ancora?

ADV
×