I carburanti sintetici non sono la soluzione per avere auto più pulite

Una nuova ricerca di Transport & Environment sottolinea rischi e limiti di chi vuole puntare sugli e-fuel. Potenziale produttivo basso, costi elevati, scarsa efficienza.

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Non si possono decarbonizzare su vasta scala le automobili utilizzando i cosiddetti e-fuel, carburanti sintetici a basse emissioni di CO2.

Il loro impatto, secondo una nuova ricerca del think-tank ambientalista Transport & Environment (TE), sarebbe trascurabile. Il titolo del lavoro è già molto chiaro: “A drop of e-fuel in an ocean of oil” (link in basso).

Yoann Gimbert, analista che ha firmato il documento, scrive che gli e-fuel potrebbero alimentare solo una piccola fetta del parco circolante di automobili al 2035 in Europa: 5 milioni di vetture su 287 milioni, considerando tutte le motorizzazioni, quindi appena il 2% del totale.

Si avrebbe una percentuale leggermente più alta (3%), nella ipotesi di alimentare con carburanti sintetici esclusivamente veicoli ibridi plug-in, cioè auto con doppio motore (endotermico ed elettrico) e batterie ricaricabili alla spina.

Si parla del 2035 perché quella è la data proposta dalla Commissione Ue per vietare la vendita di nuove auto con motori endotermici.

Le stime di TE derivano dai calcoli fatti dalla lobby del settore, Concawe (una divisione della European Fuel Manufacturers Association), secondo la quale il potenziale massimo produttivo di e-fuel ammonta a 9 milioni di tonnellate di petrolio equivalente (Mtep) nel 2035, di cui 6 da destinare ai trasporti stradali.

Assumendo poi di dedicare il 61% di questi 6 Mtep alle automobili – in base ai dati storici sulla ripartizione dei consumi tra i diversi segmenti dei trasporti stradali – le automobili potrebbero contare su 3,6 Mtep di carburanti sintetici.

Troppo poco, però. Come detto, si potrebbe alimentare una minima parte delle vetture in circolazione, come riassume il grafico seguente.

La situazione cambierebbe di poco guardando al 2040, con solo il 6% di auto circolanti alimentato da e-fuel (sempre considerando tutti i powertrain, linea azzurra continua nel grafico).

Gli e-fuel, ricordiamo, sono idrocarburi sintetici prodotti a partire da idrogeno e CO2 attraverso una complessa reazione chimica, nota come power-to-liquid.

In pratica, per produrre un e-fuel neutrale in termini di emissioni di CO2, si deve utilizzare energia elettrica 100% rinnovabile per alimentare degli elettrolizzatori.

Dagli elettrolizzatori si ricava idrogeno, che va combinato con CO2 o altre molecole per sintetizzare idrocarburi liquidi-gassosi (come e-diesel, e-metano), in grado di sostituire i carburanti fossili tradizionali; la “e” significa che il carburante proviene da processi elettrolitici.

Il problema, evidenzia Gimbert nella sua analisi, è che la tecnologia power-to-liquid non si è ancora sviluppata a livello commerciale: rimane molto costosa e i primi grandi impianti industriali non arriverebbero prima del 2025 secondo le proiezioni di Concawe.

Poi gli e-fuel sono assai poco efficienti, se paragonati con le auto elettriche. Difatti, per produrre un carburante sintetico bisogna impiegare molta più energia elettrica di quella consumata per ricaricare le batterie delle vetture alla spina.

Secondo TE, le auto elettriche possono percorrere 5-6 volte più chilometri di analoghi modelli alimentati con e-fuel, a partire dalla stessa quantità di energia elettrica rinnovabile (si veda anche La falsa promessa di sostituire gas e petrolio con carburanti derivati dall’idrogeno).

In definitiva, Gimbert afferma che Bruxelles non dovrebbe concedere alcuna deroga per gli e-fuel, come chiesto da molte industrie del settore automotive. Questi carburanti, precisa il report TE, non devono essere contati ai fini degli obiettivi per ridurre la CO2 delle auto.

Peraltro, è bene ricordare che alcuni test di laboratorio eseguiti dalla stessa TE mostrano che i carburanti sintetici inquinano al pari di benzina e gasolio “normali”, per quanto riguarda gli ossidi di azoto.

Idrogeno e altri carburanti da esso derivati andrebbero usati solo nei segmenti più difficili da elettrifcare direttamente, come  i trasporti pesanti e le industrie energivore.

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