La forte accelerazione nell’installazione delle rinnovabili da un paio di anni a questa parte, soprattutto in Europa, non si deve tanto a un’improvvisa consapevolezza dei politici verso il pericolo del cambiamento climatico, quanto alla scoperta che essere dipendenti per l’energia da regimi dittatoriali e ostili non è una grande idea.
Questa motivazione, molto più allarmante e comprensibile per loro dei modelli matematici del clima, ha messo le ali all’installazione di solare ed eolico, anche se non ancora nelle enormi quantità che serviranno per la completa fuoriuscita dai fossili.
Una fonte rinnovabile italiana, però, sembra per ora essere rimasta al palo, con i suoi 0,9 GW, costanti dal 2014, fornisce appena il 2% circa dell’elettricità prodotta in Italia: la geotermia.
Questo è un grosso problema, visto che la geotermia, a fronte di un potenziale minimo stimato dai geologi di una decina di GW nel nostro paese, potrebbe costituire una fonte dall’altissimo fattore di capacità (funzionamento a piena potenza per circa 8000 ore l’anno su 8760 totali) e perfettamente programmabile.
In altre parole, la geotermia potrebbe essere per l’Italia quello che il nucleare è per la Francia: una fonte baseload, sempre pronta a seguire i su e giù della produzione da rinnovabili non programmabili, riducendo drasticamente la necessità di accumuli.
Purtroppo, installare impianti geotermici è più complesso che tirare su turbine eoliche e pannelli solari: qui la risorsa, rocce calde fratturate con fluidi che ci circolano dentro, è relativamente rara, i pozzi costano milioni e spesso ci si trova ad affrontare i “comitati del No” locali.
Servirebbe forse un’altra potente motivazione per rimettere in moto il settore. E questa sembra essere stata da poco individuata da un gruppo di ricercatori che ha ipotizzato che la geotermia potrebbe essere una soluzione per ridurre o fermare il bradisismo dei Campi Flegrei, cioè il periodico sollevamento del suolo, accompagnato da continui piccoli terremoti che sta anche adesso rendendo un incubo vivere nelle aree di Pozzuoli e dintorni, a nord di Napoli.
Ad avanzare l’ipotesi di alcuni interventi geoingegneristici mirati alla riduzione o annullamento dell’attività sismica è stato un gruppo di ricercatori, fra i quali i professori di geochimica dell’Università Federico II di Napoli, Annamaria Lima e Benedetto De Vivo, e il vulcanologo Robert Bodnar, del Virginia Polytechnic, in uno studio (qui un breve abstract – pdf) che apparirà presto su American Mineralogist.
Abbiamo parlato di questa possibilità proprio con Annamaria Lima, professoressa di geochimica e vulcanologia che ci ha detto: “Siamo partiti dall’interpretazione delle cause del bradisismo dei campi Flegrei. Si riteneva che questo fosse provocato dal movimento del magma profondo nell’area che, risalendo, deforma il terreno. Ma ultimamente questa spiegazione si sta rivelando improbabile”.
Perché è improbabile professoressa Lima?
Per varie ragioni. La prima è che l’ipotesi del magma non spiega la fase di subsidenza che segue il sollevamento; inoltre, il magma è in una fase di raffreddamento, ci sono infatti evidenze che mostrano come se millenni fa si trovava a circa 4 km sotto la superficie, ora è a più di 7,5 km, mentre i terremoti associati al bradisismo si originano a meno di 3 km di profondità, molto più in alto del magma.
Ma allora cos’è che fa alzare il terreno dell’area?
La risalita di fluidi profondi. Il magma raffreddandosi libera acqua salata e gas ad alta temperatura, che si accumulano sotto a un profondo strato di rocce impermeabili. Periodicamente queste rocce cedono alla pressione e si fratturano, così i fluidi di origine magmatica sfuggono e finiscono per essere trattenuti da un secondo livello impermeabile, a circa 3 km di profondità, più elastico. È la deformazione di questo strato che provoca il sollevamento del suolo e i sismi. Quando lo strato cede e si frattura libera i fluidi accumulati sotto e si innesca la subsidenza. Le fratture poi si richiudono e il ciclo ricomincia, come fa da millenni.
Se questa interpretazione è giusta, allora, si aprirebbe la strada a una possibile soluzione al problema bradisismo.
Sì, ed è abbastanza intuibile: basterebbe scavare una serie di pozzi profondi circa 3000 metri, per estrarre il fluido surriscaldato e abbassare la pressione che solleva il terreno.
Ci si troverebbe però a dover gestire milioni di metri cubi di acqua caldissima e molto salata. Come evitare che ciò crei danni all’ambiente?
I fluidi profondi comunque trovano prima o poi uno sfogo, emergendo da suolo o sotto il mare nella forma di manifestazioni geotermiche, come quelle che si osservano nella Solfatara di Pozzuoli. È l’uscita in superficie dei fluidi profondi a far terminare il bradisismo. Noi, in pratica, proponiamo di anticiparla estraendoli con i pozzi. Una volta estratti i fluidi si possono gestire in vari modi, tutti economicamente convenienti. Visto che hanno una temperatura superiore ai 300 °C li si può usare per la produzione di elettricità e calore per il teleriscaldamento di abitazioni e industrie; da essi si possono estrarre minerali utili, a partire dal litio; si possono desalinizzare e usarli come acqua potabile o per irrigazione. Infine, li si può restituire al mare, dove comunque, prima o poi, sarebbe finiti.
Ma estrarre questi fluidi così caldi e in pressione non presenta dei rischi?
Nessuna attività, anche andare in auto, è priva di rischi, ma le tecnologie geotermiche affrontano già di routine perforazioni fino a 5000 metri e temperature fino a 500 °C. Non sarebbe nulla di diverso di quanto si fa, per esempio, a Larderello. E ovviamente i pozzi sarebbero realizzati lontani dalle zone abitate.
Nel 2020 fu bloccato ad Agnano, per non precisati pericoli, un pozzo sperimentale di appena 88 metri realizzato da Cnr, Università campane e Ingv, per intercettare acqua a 100 gradi e usarla per produrre energia. Ora proponete decine di pozzi di 3000 metri, per estrarre acqua surriscaldata a oltre 300 °C. Che reazioni ha incontrato questa vostra proposta?
Quelle che purtroppo ci si potevano aspettare: Protezione Civile e i colleghi dell’Osservatorio Vesuviano sui media hanno dichiarato che le trivellazioni sono pericolose. Ma non stiamo proponendo di partire domani con le perforazioni, piuttosto di fare uno studio di pre-fattibilità, sulla stratigrafia dell’area, visto che finora se ne ha solo un’idea di massima, e sulla portata degli acquiferi, sui quantitativi di fluidi da estrarre per ridurre in modo significativo la pressione, sul numero e sull’ubicazione dei pozzi, da sistemare in aree a basso impatto antropico. Lo studio comprenderà ovviamente anche un’analisi di rischio sia per le persone che per l’ambiente, così come la pianificazione della gestione dei fluidi estratti e il loro utilizzo ottimale.
Non vi aspettavate queste reazioni da parte di organi scientifici?
Secondo noi sono del tutto irrazionali e ingiustificate. Negli anni ’70 l’Agip scavò una decina di pozzi di prospezione geotermica nei Campi Flegrei, alcuni oltre i 3000 metri di profondità; trovarono acqua fino a temperature di 390 °C. Il progetto fu abbandonato perché i fluidi erano troppo salati per le tecnologie usate allora, ma i pozzi furono realizzati senza alcun preavviso alla popolazione e senza causare alcun danno. Mentre il bradisismo e i terremoti a esso associati, quelli sì, di pericoli, rischi e disastri ne provocano in quantità. Rifiutare a prescindere di prendere in considerazione l’estrazione e l’uso dei fluidi caldi profondi, come si fa in centinaia di località del mondo, Italia compresa, per cercare di prevenirlo, non è scienza, è superstizione.