Uno spin-off del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha comunicato di aver trovato una soluzione che potrebbe ridurre drasticamente i costi e i tempi di perforazione a grandi profondità della crosta terrestre, aprendo potenzialmente nuove prospettive per lo sfruttamento dell’energia geotermica.
La soluzione prevede il ricorso a cosiddette trivelle giroscopiche per vaporizzare la roccia utilizzando potenti microonde, ha reso noto la società, che si chiama Quaise Energy e ha sede a Cambridge, nel Massachusetts.
Si tratta di una tecnologia inventata dagli scienziati sovietici negli anni ’60 nell’ambito della ricerca sulla fusione nucleare per riscaldare e controllare il plasma, cioè uno degli stati fondamentali della materia, descrivibile come un gas ionizzato, caratterizzato dalla presenza di una porzione significativa di particelle cariche in qualsiasi combinazione di ioni o elettroni.
La fusione nucleare è molto probabilmente destinata a rimanere una chimera per almeno molti altri decenni, ma questa specifica tecnologia, usata in condizioni parecchio più “facili” di quelle che necessiterebbe la fusione dell’atomo, potrebbe aprire le porte ad una fonte energetica “quasi” inesauribile come quella della fusione nucleare.
Un tesoro energetico finora poco raggiungibile
Nonostante le loro potenzialità, le fonti geotermiche producono attualmente solo lo 0,3% dell’elettricità mondiale. Attualmente, si riescono a sfruttare, infatti, solo i giacimenti di calore che per accidenti dell’evoluzione terrestre si trovano più vicini alla superficie, come quelli presenti in Islanda o a Larderello, in Toscana.
I primi 10-20 chilometri della crosta terrestre conterrebbero invece riserve geotermiche sostanzialmente illimitate che attendono solo di essere utilizzate per una produzione energetica a zero emissioni.
La geotermia è stata limitata dalle straordinarie difficoltà tecnologiche, di costo e di tempi, oltre che da vincoli geografici, per trivellare fori sufficientemente profondi da garantire l’accesso all’intenso calore presente alle profondità maggiori della crosta terrestre.
Fra le trivellazioni più profonde mai realizzate ce n’è una in Germania, che ha raggiunto i 9,1 km sotto la superficie, e una in Russia, che ha raggiunto 12,2 km, che ha richiesto 24 anni di perforazione e un costo stimato di 10 miliardi di dollari, prima di essere abbandonata.
Le condizioni in profondità
A queste profondità estreme, la roccia è così calda, abrasiva e dura che la punta della trivella si consuma in poche ore. Per riportarla in superficie, sostituirla e rimandarla in profondità ci vogliono una decina di giorni, rendendo di fatto troppo lente e costose queste trivellazioni profonde per attingere al calore custodito nel sottosuolo, che offrirebbe invece condizioni ideali per lo sfruttamento dell’energia termica.
Ad alcuni chilometri sotto la superficie, il peso della Terra che la preme e le temperature vulcaniche che la circondano possono infatti far sì che l’acqua non evapori neanche a temperature di 300 °C.
Scavare un buco della profondità di 10-20 km consentirebbe di attingere ad acqua surriscaldata, in condizione “supercritica”, cioè in una forma a metà fra lo stato liquido e gassoso, che, se venisse portata in superficie, a causa del calo della pressione, si trasformerebbe in vapore. Questo vapore, che rimarrebbe comunque ad alta pressione, anche se non con l’intensità di prima, potrebbe essere immesso in una turbina per generare elettricità o convogliato direttamente alle città e industrie vicine per fornire acqua calda ed energia termica.
La soluzione dalla ricerca nella fusione nucleare?
Una trivella giroscopica, o “girotron”, utilizza tubi a vuoto a fascio lineare ad alta potenza, per generare onde elettromagnetiche di lunghezza millimetrica, simili a quelle dei nostri forni a microonde, ma che in questo caso funzionano più come una sorta di raggio laser.
Nella fusione nucleare, il plasma potrebbe arrivare all’innesco e diventare un combustibile nucleare se, ad esempio, raggiungesse una temperatura di 100 milioni di gradi e, in condizioni di bassa densità (100mila volte più rarefatto dell’aria) e grandi volumi di spazio (dimensioni di metri), fosse tenuto insieme per qualche secondo (confinamento magnetico); oppure se, in condizioni di alta densità (mille volte la densità del solido) e piccoli volumi (dimensioni di centinaia di micron), si tenesse insieme per qualche miliardesimo di secondo (confinamento inerziale) (Fusione nucleare: prossima realtà o illusione mediatica?).
Si tratta di condizioni attualmente impossibili da predisporre per la produzione di energia.
Se però l’obiettivo del fascio di microonde è “semplicemente” quello di raggiungere una temperatura di qualche migliaio di gradi per vaporizzare strati di roccia che si estendono per chilometri, invece che di raggiungere 100 milioni di gradi per innescare quantità infinitesimali di plasma, la cosa dovrebbe essere più fattibile.
Microonde vaporizzano la roccia
Paul Woskov, ingegnere ricercatore senior presso il Plasma Science and Fusion Center del MIT, ha lavorato per decenni con potenti fasci di microonde nell’ambito della fusione nucleare.
“Sapevo già che queste sorgenti erano piuttosto dannose per i materiali, perché una delle sfide [della fusione nucleare] è quella di non fondere la camera interna di un tokamak”, un dispositivo che confina un plasma utilizzando campi magnetici, ha detto lo scienziato a IEEE Spectrum.
“Quindi non è stato un gran salto fare il collegamento con il fatto che se possiamo fondere le camere d’acciaio e vaporizzarle, possiamo fondere le rocce”, ha aggiunto il ricercatore, che ha compiuto i primi esperimenti pratici utilizzando un piccolo girotron per perforare mattoni di basalto.
Sulla base dei suoi esperimenti e di altre ricerche, Woskov ha calcolato che una sorgente a onde millimetriche, indirizzata attraverso una guida d’onda di circa 20 centimetri, potrebbe praticare un foro nella roccia delle dimensioni di un pallone da basket a una velocità di 20 metri all’ora.
Può sembrare lento, ma a questa velocità, basterebbero 25 giorni e mezzo di perforazione continua per creare il foro più profondo del mondo, “spendendo una frazione minima di quanto costa oggi”, ha affermato Wostov, che ha fondato Quaise, anche se dice di non detenere alcuna partecipazione finanziaria nell’azienda, a differenza del MIT.
Si tratterebbe inoltre di una tecnologia geograficamente agnostica, che potrebbe cioè essere applicata un po’ in tutto il mondo e in molte condizioni di terreno. Il fatto poi che la temperatura della crosta terrestre aumenti via via che si scende più in profondità, cosa che danneggia la punta della trivella, nel caso delle microonde invece faciliterebbe ulteriormente il lavoro di vaporizzazione della roccia.
Primi test sul campo in autunno
Al momento, la società sta costruendo sistemi di laboratorio per validare il progetto, di cui si possono vedere alcuni primi test operativi nell’illustrazione di Quaise Energy.
La società ha praticato un foro di 254 cm di profondità con un diametro di 2,5 cm in una colonna di basalto, una profondità 100 volte superiore a quella dei test originali del team, condotti al MIT.
Un fascio di microonde viene inviato dentro un tubo ondulato, che fa da guida e che è da estrarre al termine della perforazione della crosta terrestre. Il sistema si baserebbe poi sull’iniezione di gas per raffreddare e portare via la cenere.
“Per alimentarlo avremo bisogno di circa 1 MW, la stessa potenza di un tipico impianto di perforazione. Ma la useremo in modi molto diversi. Invece di pompare fluidi e far girare una trivella, bruceremo e vaporizzeremo la roccia ed estrarremo gas, che è molto più facile da pompare rispetto al fango”, ha spiegato l’amministratore delegato di Quaise, Carlos Araque, un veterano dell’industria petrolifera e del gas ed ex direttore tecnico di The Engine Accelerator, la piattaforma del MIT per la commercializzazione delle tecnologie innovative.
L’utilizzo della guida d’onda per dirigere l’energia verso il bersaglio-roccia consente alla fonte di energia di rimanere in superficie, trasmettendo onde millimetriche con un’attenuazione minima. Nell’illustrazione di Quaise, il girotron portatile che sarà usato nei test sul campo.
Quaise intende rivolgersi in primo luogo ai clienti industriali che necessitano di vapore a una portata, una temperatura e una pressione garantite. “Il nostro obiettivo è quello di soddisfare le specifiche di un carico industriale. Possono pensionare la caldaia e noi forniamo loro vapore a 500ºC in loco”, ha detto Araque.
L’azienda spera che la tecnologia possa consentire la costruzione di nuove centrali elettriche geotermiche, o che le turbine precedentemente alimentate da combustibili fossili possano essere riutilizzate, fornendo alla rete elettrica circa 25-50 MW di elettricità da ogni pozzo.
L’azienda prevede di iniziare le dimostrazioni sul campo quest’autunno, utilizzando un prototipo di dispositivo per perforare la roccia dura in un sito a Marble Falls, in Texas. Da lì, Quaise ha in programma di costruire un impianto dimostrativo di dimensioni reali in una zona ad alta temperatura negli Stati Uniti occidentali.
Nuove sfide
Sebbene i dati di laboratorio abbiano dimostrato la fattibilità di sistemi di grande scala, è possibile che gli ostacoli tecnici al piano di Quaise si rivelino più grandi del previsto.
“Se riusciranno a praticare un foro di 10 km utilizzando microonde ad alta potenza, sarà un risultato ingegneristico significativo. Ma la sfida consiste nel completare questi pozzi in modo che non cadano a pezzi, soprattutto se si inizia a prelevare fluidi dal sottosuolo e a modificare il profilo della temperatura”, ha detto Jefferson Tester, esperto di estrazione di energia geotermica nei giacimenti rocciosi del sottosuolo alla Cornell University.
“La trivellazione di un foro è già abbastanza impegnativa. Ma far funzionare il giacimento e far uscire l’energia dal terreno in modo sicuro potrebbe essere qualcosa di molto, molto lontano nel futuro“, ha avvertito Tester.
Quaise ha finora raccolto 95 milioni di dollari dagli investitori, tra cui la giapponese Mitsubishi, per sviluppare una tecnologia che le consenta di perforare, in modo rapido ed efficiente più vicino al nucleo della Terra di quanto sia mai stato fatto prima.