Un tempo l’Italia era la sola nazione al mondo a ricorrere alla geotermia, fonte di energia rinnovabile che usa il calore terrestre per produrre elettricità o riscaldamento per industria o case inventata a Larderello (PI) nel 1904.
Per molti decenni è stata la prima o la seconda nel mondo, dopo gli Usa, per potenza installata di questa fonte.
Come ricorda una ricerca del geologo messicano Luis Gutiérrez-Negrín, oggi l’Italia, con i suoi poco più di 800 MW installati, è retrocessa all’8° posto nel ranking mondiale, superata anche da Kenia, Messico, Nuova Zelanda, Turchia , Filippine e Indonesia, mentre alle nostre spalle sta crescendo l’installato in Cile, Cina, Nicaragua ed El Salvador.
In quest’ultimo Stato, l’energia dal sottosuolo copre già il 20% dei consumi elettrici e in Kenia arriva al 45%. In Italia siamo appena all’1,7% (dato 2023).
E mentre noi non installiamo più nulla di nuovo dal 2014, Usa e Indonesia (nella foto l’impianto geotermico di Wayang Windu, Java – Indonesia) hanno aggiunto in questi ultimi anni altri 240 MW, la Turchia 140, il Kenia 106, e così via.
Perché questo ritorno di fiamma per questa antica fonte rinnovabile?
Perché in un mondo che cerca disperatamente la via per una complicata transizione fuori dal dominio dei combustibili fossili, è una follia lasciare sottoterra tutta quella energia termica gratuita e “infinita”, disponibile a volontà 24 ore al giorno tutto l’anno; un delitto soprattutto dove la risorsa è abbondante e facile da raggiungere.
Inoltre, le tecniche di perforazione più economiche e versatili, come quelle inclinate o orizzontali, sviluppate per il fracking degli idrocarburi, stanno ora iniziando ad essere usate per la geotermia, aprendo nuovi orizzonti.
Un innovativo progetto geotermoelettrico in Texas
Lo rivela bene il contratto firmato da Facebook con la società Usa Sage Geosystems: per avere una fonte rinnovabile affidabile per i propri data center, il gigante dei social non ha chiesto di acquisire quella dei soliti campi fotovoltaici o eolici, ma quella di un nuovo tipo di impianto da 150 MW, che la Sage intende realizzare a est delle Montagne Rocciose dopo che i test su un prototipo da 5 MW in Texas hanno dato ottimi risultati.
Si tratterà di un sistema a geotermia “aumentata”, che sfrutta il calore di rocce calde, ma secche, dove cioè non circola già naturalmente acqua che si trasforma in vapore se portata in superficie, come avviene nella quasi totalità degli impianti realizzati nel mondo.
Le rocce calde saranno fratturate con acqua in pressione, come si fa per estrarre gas o petrolio, e poi in queste verrà pompata acqua da trasformare in vapore, che dopo aver azionato le turbine, verrà ricondensata e nuovamente pompata in basso, ad estrarre ulteriore energia.
Sage utilizza una versione particolare, a “cicli”, di questa tecnica in cui inietta acqua fredda nelle rocce fratturate quando la domanda di energia è bassa, magari perché stanno producendo alla grande solare ed eolico, e poi estrae dai pozzi quella da trasformare in vapore per le turbine quando la domanda si alza, usando il sottosuolo come una sorta di “batteria”.
La geotermia “aumentata”
La geotermia “aumentata” è una delle strade per aggirare il principale ostacolo dell’attuale versione “classica”: la scarsità di siti idonei, il 2% del totale, cioè dove particolari condizioni geologiche portano l’acqua a circolare in pressione all’interno di rocce caldissime fratturate da continui, piccoli terremoti. Nel restante 98% le rocce calde non hanno fessure, e sono inadatte a questo tipo convenzionale di geotermia.
Fratturare artificialmente le rocce, però, non è una passeggiata: in precedenza tentativi di applicarla, per esempio in Svizzera, vicino alla città di Basilea, erano abortiti quando si erano verificati sismi che avevano allarmato la popolazione.
Però c’è chi sta avendo altre idee: l’americana Fervo Energy, che già vende l’elettricità prodotta in questo modo da un impianto da 5 MW in Nevada, e ne sta costruendo un altro da 400 MW in Utah, perfora orizzontalmente le rocce calde con decine di tubi in cui fa circolare acqua fredda, così da farla scaldare abbastanza da far bollire un altro fluido a basso punto di ebollizione, da mandare in turbina: un cosiddetto impianto binario.
In questo caso tutto quello che si estrae dal sottosuolo è calore, senza terremoti o emissioni di vapore o gas in atmosfera.
Pensate che siano tecnologie che produrranno quantità marginale di energia? Ricredetevi!
Uno studio del 2016 del National Renewable Energy Laboratory (Nrel) ha rivelato che l’energia geotermica presente nel sottosuolo statunitense a 5 km di profondità, profondità oggi facilmente accessibile, sarebbe sufficiente per tutto il fabbisogno energetico del paese, mentre scendendo a 7 km, se ne otterrebbe 5 volte tanta, pulita al 100% e perfettamente modulabile secondo le esigenze della domanda.
L’Italia è ferma, ma qualcosa si muove
Con queste cifre, viene proprio da chiedersi cosa si stia aspettando in Italia per sperimentare anche qui qualche nuova tecnica per estrarre il nostro abbondante calore sotterraneo e produrre l’energia di base per bilanciare quella intermittente da vento e sole, invece di continuare con il costosissimo gas fossile o buttarci nell’ancora più costoso e improbabile nucleare
“Tutta la fascia tirrenica italiana sarebbe particolarmente adatta alla geotermia”, ci dice il geofisico Bruno Della Vedova, della Unione Geotermica Italiana (Ugi).
“Anche solo usando le tecnologie già conosciute, come quelle con vapore pronto o i cicli binari, potremmo facilmente coprire con la geotermia il 10% della domanda elettrica e il 25% di quella termica nei prossimi decenni”.
E invece tutto tace. “Nel 2010 – ricorda Della Vedova – quando fu liberalizzato il settore, furono presentati ben 140 progetti per nuove centrali geotermiche. Oggi ne sono rimasti 20 e nessuno di questi ha neanche iniziato a essere realizzato. I motivi sono sempre i soliti: complessità nelle autorizzazioni, troppe competenze che si sovrappongono, una incomprensibile campagna di Comitati del No, e anche il grottesco ritardo del Fer 2, che doveva stabilire nel 2018 le tariffe incentivanti per questa fonte fino al 2026, e che è apparso solo a giugno 2024”.
Speriamo che adesso i 200 euro/MWh previsti dal redivivo Fer 2 per incentivare i nuovi impianti geotermici innovativi, siano considerati sufficienti e facciano partire i progetti incagliati.
“Intanto però si è aperto uno spiraglio per la costruzione di piccoli impianti geotermici alle isole Eolie, usando fondi del Pnrr”, dice Della Vedova.
“La Regione Sicilia, insieme a noi, i comuni isolani, l’Ingv e aziende private, ha avviato un progetto per costruire mini-centrali nell’arcipelago, forse partendo da Panarea, dove l’acqua bollente sgorga spontaneamente dal fondo del mare. Lo scopo finale è alimentare le Eolie con tutta l’elettricità e l’acqua calda che necessitano, utilizzandole anche per dissalazione, climatizzazione, serre e impianti termali; potranno così liberarsi dall’uso del diesel per la fornitura di elettricità e dall’importazione via nave dell’acqua potabile”.
Durante il convegno di presentazione del progetto sono girate cifre clamorose, secondo cui l’area del Sud Tirreno, che comprende vulcani sommersi come il Marsili, potrebbe fornire elettricità per 100 milioni di famiglie, quasi per l’intera Europa.
“Restiamo con i piedi per terra. Quelle sono risorse teoriche, poste per lo più a grande profondità: le tecnologie per sfruttarle non sono ancora mature. Per adesso impegniamoci tutti per costruire, entro la scadenza di giugno 2026 almeno due piccole centrali dimostrative da 100 kW di tipo binario, mostrando come siano a zero impatto sul paesaggio e sull’ambiente”, conclude Della Vedova.
Un’altra buona notizia per il settore arriva dall’Università di Bari. Andrea Brogi, analizzando rocce provenienti dall’isola d’Elba, ha trovato in esse micro-gocce di fluidi supercritici, cioè acqua che era stata ad altissima temperatura e pressione in un antico giacimento geotermico, intrappolate dentro cristalli di quarzo.
“La scoperta offre un nuovo e semplice indicatore della presenza di serbatoi geotermici nel sottosuolo, esaminando le rocce di superficie”, spiega Brogi. “Essere ragionevolmente sicuri che a chilometri di profondità ci siano rocce calde contenenti fluidi, è fondamentale per convincere a investire i milioni di euro necessari per i pozzi di perforazione. Avere una nuova indicazione, grazie alle goccioline di fluidi supercritici nel quarzo, contribuirà alla riduzione del rischio minerario, cioè al rischio di scavare pozzi che poi si rivelano secchi, rendendo più appetibile investire nella realizzazione di nuovi impianti geotermici nel nostro paese”.
Insomma, esempi dall’estero, arrivo dell’incentivazione, nuovi impianti che dimostrino la loro fattibilità, utilità e rispetto del paesaggio in un luogo delicato come le Eolie, e nuove tecniche per ridurre il rischio minerario, sono tutti elementi che potrebbero rimettere finalmente in moto l’ingranaggio arrugginito della geotermia nel nostro paese.
Sarebbe importante chiudere con questo scandalo del non utilizzo di una preziosa risorsa rinnovabile, che potrebbe facilmente sostituire gas, carbone e nucleare per la produzione elettrica di base, al servizio del bilanciamento degli incostanti vento e sole.