Biometano: grandi potenzialità in Italia, ma tanti ostacoli da rimuovere

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Un nuovo rapporto esamina punti di forza e criticità per la produzione di gas verde nel nostro Paese.

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In Italia il biometano ha grandi potenzialità e potrebbe portare il nostro Paese ai primi posti europei nella produzione di gas “verde”.

Ci sono però diversi ostacoli da superare, dalla complessità e lentezza delle autorizzazioni ai colli di bottiglia nella logistica, mentre i recenti sviluppi normativi – in particolare il decreto ministeriale con gli incentivi al biometano pubblicato in Gazzetta ufficiale a fine ottobre – dovrebbero dare nuovo slancio al settore.

Quali sono allora le prospettive del biometano sul mercato italiano?

Se ne parla in un nuovo studio della società di consulenza BIP, intitolato “Biomethane, the green molecule to enable energy transition” (link in basso).

Gli autori ricordano che il piano REPowerEU punta a produrre 35 miliardi di metri cubi di biometano al 2030 in Europa (oggi: 3 mld mc) e che in Italia si dovrebbe arrivare a 6 miliardi di metri cubi.

Sarebbe un balzo notevole visto che oggi nello Stivale la produzione annuale di biometano è di appena 220 milioni di mc. Ci sono opportunità per realizzare oltre 1000 impianti entro il 2026, riporta il documento, tra conversioni di unità a biogas e impianti del tutto nuovi.

E secondo le stime di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico), citate dallo studio, la potenzialità italiana sale a circa dieci miliardi di mc di biometano al 2050.

Perché finora questo settore è rimasto confinato in una nicchia?

Il ritardo italiano nel biometano spicca ancora di più a livello europeo – la Germania ad esempio produce circa 1 miliardo di mc/anno –  se si considera che invece nel biogas la produzione made in Italy è tra le più alte dei Paesi Ue.

Ricordiamo che il biometano si ottiene purificando il biogas con un processo di upgrading; il biogas a sua volta deriva dalla digestione anaerobica di matrici organiche, come gli scarti delle attività agricole e i reflui zootecnici.

Il biometano può essere un alleato della transizione energetica grazie alla sua flessibilità di utilizzo: avendo le stesse caratteristiche del metano di origine fossile, può essere immesso nella rete di distribuzione esistente o essere impiegato nei trasporti e nelle industrie.

Tuttavia, lo sviluppo del biometano comporta alcune criticità da risolvere. In particolare:

  • piccoli volumi produttivi a livello di singole unità: si parla di circa 980 mc/ora a inizio 2021 con la prospettiva di scendere intorno a 610 mc/ora con gli impianti che usano scarti agricoli;
  • produzione distribuita e decentralizzata sul territorio;
  • output costante nel tempo: può essere un vantaggio in termini di sicurezza delle forniture, ma anche un problema quando la domanda è bassa o variabile, perché in Italia i DSO (Distribution System Operator) non possono stoccare il gas.

Inoltre, il rapporto sottolinea che possono passare fino a due anni per completare tutte le pratiche necessarie (autorizzazione ambientale, permessi per la connessione alla rete, approvazione delle varie autorità competenti).

In sostanza, integrare il biometano nella rete gas esistente richiede una attenta pianificazione di progetti e infrastrutture, tenendo conto che la presenza di molti impianti diffusi sul terrritorio implica maggiori investimenti per realizzare nuovi punti di immissione del biometano e relative reti di trasporto/distribuzione.

Quando ci sono oltre 2 km tra impianto di biometano e rete gas esistente può diventare conveniente realizzare impianti di liquefazione del biometano per il successivo trasporto su camion.

Mentre la soluzione tecnica alla mancanza di stoccaggi è data dal reverse-flow (inversione del flusso): comprimere il biometano non utilizzato su una determinata rete di distribuzione per poi immetterlo in una rete diversa, dove la domanda di gas è più alta, grazie a una serie di sbalzi di pressione.

Il nuovo decreto sul biometano è un primo passo per superare queste barriere.

Le misure saranno in vigore fino al 30 giugno 2026 e prevedono:

  • un contributo in conto capitale del 40% sulle spese ammissibili dell’investimento sostenuto, nei limiti del costo massimo di investimento ammissibile;
  • un incentivo sulla produzione, con tariffe differenziate sulla base dei costi degli impianti;
  • contingenti di potenza annui messi a disposizione, in linea con gli impegni di spesa del Pnrr, finalizzati a valorizzare il potenziale delle riconversioni degli impianti biogas esistenti e la nascita di nuove produzioni.

Ora però è necessario accelerare l’adozione dei criteri attuativi del decreto e l’apertura delle prime aste (previste entro la fine del 2022) per permettere alle aziende agricole del settore di avviare gli investimenti il più velocemente possibile.

Il decreto, ricordiamo, sblocca le risorse del Pnrr per 1,7 miliardi di euro per costruire nuovi impianti e riconvertire quelli a biogas esistenti, con una stima di produzione di circa 2,3/2,5 miliardi di mc entro il 2026. Per approfondire il tema si veda anche la nostra videointervista a Piero Gattoni, presidente del Consorzio italiano biogas (CIB).

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