Basse temperature per un teleriscaldamento più efficiente

Recupero di calore ed esercizio a bassissima temperatura: la rete di teleriscaldamento della cittadina danese di Bjerringbro, seppure piccola, è un caso esemplare della potenziale flessibilità di questa soluzione tecnologica.

ADV
image_pdfimage_print

La Danimarca può essere senza dubbio considerata come uno dei Paesi europei pionieri nello studio e nell’implementazione del teleriscaldamento.

L’aspetto forse più interessante, però, è che la nazione scandinava ha sempre cercato, negli anni, di mantenere questa posizione di vantaggio aggiornando le sue reti e i suoi sistemi di produzione termica per affrontare le sfide crescenti relative alla scarsità di risorse energetiche e del cambiamento climatico.

Reti flessibili e cooperative

Molti degli esempi più interessanti del teleriscaldamento di quarta o quinta generazione vengono proprio da città o, addirittura, da piccoli centri rurali danesi.

Si ricorda che con la dizione di “quarta e quinta generazione” si intendono reti complesse, alimentate da più fonti energetiche, possibilmente rinnovabili e reperibili localmente, e caratterizzate da una grande flessibilità di utilizzo e, a volte, anche da un legame con la rete e il mercato dell’energia elettrica.

Un’ultima peculiarità del teleriscaldamento danese è quella della proprietà dei sistemi che, a parte le grandi reti cittadine, è quasi sempre in mano a piccole cooperative di consumatori.

Come integrare più rinnovabili?

Dal punto di vista strettamente tecnologico, uno dei requisiti più importanti affinché una rete di teleriscaldamento possa essere davvero caratterizzata da un’elevata flessibilità è il funzionamento in un campo di basse temperature.

Le temperature contenute consentono di integrare fonti energetiche rinnovabili, come il geotermico, il solare termico e la biomassa, nonché il calore di recupero, con maggiore semplicità e, soprattutto, con più alta efficienza operativa.

Un caso esemplare di questo approccio viene proprio dalla Danimarca e, in particolare, dalla cittadina di Bjerringbro, dove il calore in eccesso proveniente da uno stabilimento industriale, situato nel centro della città, viene utilizzato per alimentare la rete locale di teleriscaldamento.

In cerca di basse temperature

Il calore di scarto è estratto da un sistema di raffreddamento con acqua di falda e, come spesso accade in questo tipo di sistemi, la sua temperatura viene alzata tramite una pompa di calore prima di essere inserito nella rete di teleriscaldamento.

Le temperature di funzionamento della rete di Bjerringbro, in origine, erano di 40 °C sulle tubazioni di ritorno e di 70 °C su quelle di mandata.

Come noto, l’efficienza di funzionamento di una pompa di calore, misurata tramite il suo COP (Coefficient Of Performance), è legata alla temperatura richiesta per l’energia termica in uscita dal dispositivo stesso.

Per cercare allora di incrementare questo COP, è stato condotto uno studio pilota per valutare la fattibilità di un abbassamento delle temperature operative della rete, addirittura fino a valori di 47 °C.

Grazie a questi valori, il COP misurato per la pompa di calore ha mostrato valori compresi tra 3,35 e 5,04.

Le modifiche fatte nelle abitazioni

Lo studio non è stato realizzato su tutte le utenze servite dal sistema di teleriscaldamento ma solo in un’area circoscritta, caratterizzata da 21 utenze residenziali singole, i cui edifici risalgono al 1980.

Si tratta di un’area a bassa densità di domanda termica e, quindi, a maggior ragione il funzionamento a bassa temperatura consente un’elevata efficienza della rete di distribuzione ed è economicamente sostenibile anche grazie alla disponibilità di calore di recupero a basso costo.

Il problema principale di questa operazione risiedeva nel fatto che, sebbene la temperatura operativa della rete fosse più bassa, consentendo anche di ridurre le perdite termiche nelle tubazioni, le utenze non erano state modificate e, quindi, era necessario trovare un modo per innalzare la temperatura di rete prima di consegnare l’energia termica alle case.

Nella zona di studio, perciò, si è valutato di fornire alle abitazioni delle nuove sotto-stazioni con una delle seguenti soluzioni tecniche: una piccola pompa di calore, un serbatoio per l’acqua calda sanitaria dotato di un riscaldatore a immersione, un serbatoio di riscaldamento sempre con un riscaldatore a immersione oppure una combinazione di uno scambiatore di calore e un riscaldatore elettrico diretto posizionato presso i rubinetti.

Una scelta semplice ma vincente

La fase successiva è stata proprio la valutazione comparativa di queste diverse soluzioni, in termini di livello di comfort, requisiti di sicurezza, perdite termiche, costi di acquisto e installazione e, infine, spazio necessario per il posizionamento delle apparecchiature.

Da questo confronto è uscita vittoriosa la soluzione apparentemente più semplice tecnicamente, vale a dire l’accoppiamento di uno scambiatore di calore nella sottostazione e di una resistenza elettrica diretta presso l’attacco dell’acqua.

Oltre ai vantaggi sopra indicati, questa scelta consente di minimizzare il consumo elettrico aggiuntivo necessario per dare la “spinta finale” alla temperatura dell’acqua prima che arrivi alle utenze.

Stesso livello di comfort

Un aspetto estremamente interessante di questa modifica è che, fatta eccezione per l’installazione dei booster ora descritti, non è stata necessaria nessun’altra modifica alle abitazioni per renderle compatibili con il funzionamento a bassissima temperatura della rete di teleriscaldamento.

Un’indagine presso i consumatori, inoltre, ha rilevato come nessuno degli utenti abbia riscontrato problemi relativi al livello di comfort nelle case, soprattutto con riferimento alla temperatura interna dei locali.

Si tratta di una conclusione molto importante, soprattutto se si pensa che i radiatori delle stanze sono stati alimentati con temperature davvero molto contenute, in media a 45 °C sulla mandata e a 30 °C sul ritorno.

ADV
×