Il mercato dell’elettrico vive una fase di schizofrenia, sospeso tra l’indecisione politica e la lenta crescita dei mercati.
Da un lato, le grandi aziende del settore rivedono i piani strategici, riducono i budget produttivi e tagliano il personale. Dall’altro, nuove fabbriche aprono, soprattutto in Cina e in Europa come avamposto di player asiatici o per la produzione di batterie, spinte da incentivi e contributi.
Negli ultimi mesi, diverse grandi aziende del settore automobilistico hanno annunciato riduzioni dei budget produttivi e tagli del personale.
Renault ha rinunciato a quotare in borsa la sua divisione elettrica Ampere. Volkswagen ha annunciato il taglio di 10.000 posti di lavoro in Germania. Ford chiuderà nel 2025 lo stabilimento di Saarlouis in Germania. Polestar, brand premium di Volvo, ha annunciato il taglio del 15% del personale e anche Tesla si prepara a possibili licenziamenti, come parrebbe da rumors interni, mentre Stellantis considera una megafusione con Renault per contrastare l’avanzata asiatica.
Di contro Northvolt, l’azienda nata da due ex dirigenti Tesla e partecipata tra gli altri da VW, ha completato una raccolta di oltre 13 miliardi di euro (tra equity, debito e finanziamenti istituzionali da banche, BEI e Fondi) per la realizzazione di molteplici gigafactory per produrre batterie in Europa.
Si tratta di un importo tra i più alti mai concessi ad un’azienda, a fronte di ordini dal settore automotive (BMW, Fluence, Scania, Volvo Cars e Volkswagen Group) per un totale di 55 mld €. Cifre da capogiro che ne fanno un competitor dei gruppi cinesi, seppure ancora piccolo.
In generale assistiamo a quella che alcuni analisti descrivono come la “death valley” del mercato nei prossimi 2 anni, quando l’elettrico crescerà a ritmi inferiori rispetto alle rosee previsioni per l’assenza di veicoli di fascia economica che riduce l’appetibilità mass market, lo stop agli incentivi all’acquisto e una (percepita) mancanza di infrastrutture di ricarica.
L’elettrico ha raggiunto quote di mercato a doppia cifra in molti mercati, e gli “early adopters” della tecnologia oggi girano già a zero emissioni.
Per fare il salto dimensionale ora serve l’adozione di massa dell’elettrico, ma l’industria non ha ancora prodotti adatti e la maggior parte dei clienti si orienta ancora sull’ibrido.
Se a questi numerosi elementi di mercato aggiungiamo fattori geopolitici, ci troviamo di fronte alla tempesta perfetta. Il blocco del canale di Suez, il persistere della guerra in Ucraina e l’instabilità mediorientale impattano pesantemente sui trasporti internazionali generando ritardi ed extra costi.
Le elezioni del Parlamento europeo, con il crescere di partiti che dichiarano di voler rivedere le politiche sulla transizione ecologica e un candidato americano come Trump che non ha mai nascosto scarse simpatie per l’ambiente, sono fattori che creano ulteriori incertezze negli investimenti e nelle scelte imprenditoriali dei grandi gruppi.
Sarà soprattutto un rallentamento, perché la transizione verso elettrico è la soluzione più sostenibile anche in termini economici oltre che ambientali. I biocarburanti hanno costi di produzione e distribuzione proibitivi (se portati a livello di massa) e l’idrogeno è un vettore energetico che, nella sua forma più ecologica, si adatta solo ad alcuni segmenti della mobilità (soprattutto commerciale, industriale e ferroviaria).
Solo i più pessimisti ipotizzano una bolla speculativa che potrebbe sgonfiarsi nei prossimi anni e in questi scenari troviamo investitori conservatori e scettici.
Caso emblematico è quello di Volvo. L’azienda che controlla il brand Polestar ha annunciato di non finanziare più la controllata, ma rinviare questo onere alla capogruppo cinese Geely. Il giorno dopo l’annuncio la borsa ha festeggiato con un aumento del 24% del titolo della casa svedese.
L’Associazione Europea dei Costruttori Automobilistici (ACEA) ha pubblicato i dati di produzione di veicoli nel 2023, evidenziando un totale di veicoli prodotti di 13.704.748, in calo del 6,1% rispetto al 2022, ma veicoli elettrici sono in crescita del 64,5% rispetto al 2022, mentre i veicoli ibridi aumentano del 14,4%.
E l’Italia? Il calo di produzione è ancora maggiore della media europea: 674.482 veicoli prodotti, in calo del 10,2% rispetto al 2022.
Dopo aver deliberato 1 miliardo di € di incentivi a tutti i veicoli ecologici, soprattutto per le fasce più deboli, il paese è molto sulla difensiva, sia per tutelare il settore automotive che è stato “svenduto” ai francesi e che fatica a tenere i ritmi occupazionali attesi.
È il momento di continuare a investire nel settore dell’elettrico e guidare la crescita, creare l’eco-sistema e supportare molte aziende industriali che hanno prodotti proiettati alle nuove tecnologie, competenze specializzate nell’elettrico e quella capacità di reazione ed eccellenza che sono il cuore del tessuto imprenditoriale. Vediamo dove e come:
- Infrastrutture: investire più velocemente sulla creazione di una rete di colonnine di ricarica capillare, ma soprattutto sbrogliare la burocrazia.
- Ricerca e sviluppo: sostenere la ricerca e lo sviluppo di tecnologie per la produzione di batterie e componentistica.
- Formazione: creare percorsi formativi per qualificare la forza lavoro nel settore dell’elettrico.
- Sostegno diretto (anche con equity, venture capital, contributi e finanziamenti) ad aziende di eccellenza nei settori strategici.
L’Italia avrebbe le carte in regola per recuperare il divario e diventare un leader nel mercato dell’elettrico. Occorre però remare tutti nella stessa direzione con un impegno deciso da parte delle istituzioni, delle aziende e del sistema di formazione.