Negli ultimi tre anni la spesa italiana per le missioni militari in tutela della sicurezza energetica è più che raddoppiata.
Nell’anno in corso per la tutela armata di asset fossili è previsto un investimento di 870 milioni di euro (+9% rispetto al 2021 e + 65% rispetto al 2019); il 71% dell’intero budget per le missioni militari.
A denunciarlo è un rapporto Greenpeace appena pubblicato (vedi allegato in basso) nel quale l’associazione ambientalista evidenzia come le estrazioni di gas e petrolio che il nostro governo va a difendere in giro per il mondo, contribuiscano a causare quelle stesse crisi che l’Italia tenta poi di stabilizzare con le sue missioni militari.
Nemmeno la crisi energetica e l’invasione russa dell’Ucraina, con tutte le loro conseguenze su prezzi e forniture, hanno spinto la politica nazionale a cambiare strada.
A confermarlo è la relazione analitica con la quale il governo – oggi dimissionario – chiede al Parlamento sciolto anticipatamente di prorogare le missioni internazionali già in corso.
Il documento (link in basso) cita ripetutamente la “sicurezza dei nostri approvvigionamenti di fonti fossili”, precisando che “nelle aree di interesse strategico per l’Italia” si assiste a “una competizione per le risorse naturali ed energetiche sempre più accesa”.
Il documento all’esame delle Camere ricorda inoltre che la nostra “politica energetica” identifica “Algeria, Libia, Iraq e Penisola Arabica, quali punti cardine per la sicurezza dei nostri approvvigionamenti”. Tutte aree – commenta Greenpeace – presidiate dalle nostre Forze armate.
Le operazioni militari italiane per il 2022
Più nel dettaglio, secondo il rapporto dell’associazione ambientalista, l’Italia per il 2022 ha confermato tutte le operazioni internazionali delle forze armate – già denunciate come “fossili” da un rapporto Greenpeace del dicembre 2021 – e ne ha aggiunte tre nuove, di cui due legate allo sfruttamento di fonti fossili.
La prima è la missione bilaterale di supporto alle forze armate del Qatar in occasione dei “Mondiali di calcio 2022” (spesa per il nostro Paese: 10,8 milioni di euro). Il contributo italiano – si legge nella deliberazione del CdM del 15 giugno scorso “mira al rafforzamento della sicurezza nel Golfo Persico” e “risponde all’esigenza di valorizzare gli interessi nazionali in un’area di importanza strategica”.
Gli interessi in ballo, evidenzia Greenpeace, sono soprattutto legati alle energie fossili e a ricordarlo sono stati, in audizione, sia il ministro degli Esteri Di Maio che il ministro della Difesa Guerini, ricordando “gli importanti accordi in ambito energetico” stretti di recente con il Qatar e definendo la nuova missione come “un esempio calzante della diplomazia militare”.
Va inoltre segnalato che a giugno Eni è entrata nel più grande progetto al mondo di Gnl in Qatar e che l’amministratore delegato del cane a sei zampe ha accompagnato la delegazione ministeriale italiana in ogni tappa del tour energetico.
La seconda “missione fossile” aggiunta al denso calendario nazionale vedrà i militari italiani partecipare anche a “EUTM Mozambique”, la missione istituita in Mozambico dal Consiglio Ue nel 2021, con l’obiettivo di “sostenere le forze armate mozambicane nel ripristino della sicurezza e della protezione nella provincia di Cabo Delgado” (costo per l’Italia: 1,2 milioni di euro).
Già nel luglio 2021, Guerini aveva sottolineato come l’escalation delle violenze nella provincia nord del Paese avesse causato “le interruzioni dell’attività estrattiva”. Nei prossimi mesi, la più grande nave con impianto di liquefazione al mondo – targata Eni – produrrà il suo primo carico di Gnl proprio nelle acque al largo del Mozambico.
Ma non è tutto. Il consistente aumento di spesa per le missioni fossili del 2022 dipende soprattutto dal fatto che da maggio il nostro Paese ha assunto il comando della missione Nato in Iraq, uno dei principali fornitori di greggio per l’Italia.
I costi per questa missione quest’anno sono quindi quintuplicati rispetto al 2021 (77,8 mln €, ai quali si aggiungono i 217 per la partecipazione italiana alla Coalizione globale anti Daesh/ISIS).
Un circolo vizioso
È evidente che l’estrazione di fonti fossili attivi un circolo vizioso che inizia con il deterioramento delle aree coltivate e delle acque prospicienti i pozzi, che impoverisce le comunità locali e alimenta disordini e crisi che le forze armate si propongono poi di sedare. Senza considerare il danno ambientale e le conseguenze in termini di cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico e i loro effetti sulle migrazioni.
Ma nonostante siano sempre di più gli studi internazionali che accendono i riflettori su queste dinamiche controverse, il nostro governo – che, lo ricordiamo, possiede circa il 30% delle azioni di Eni tramite MEF e CDP – continua a difendere i propri asset fossili che alimentano le crisi nelle aree interessate dalle trivellazioni, il tutto in un drammatico circolo vizioso che Greenpeace nel suo rapporto chiede di interrompere.
“Il nostro Paese deve smettere di proteggere militarmente gli asset e gli interessi dell’industria fossile, puntando con decisione sulle fonti rinnovabili e sul risparmio energetico. Solo così si tutela davvero l’ambiente e la pace”, commenta Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace.