L’attacco all’Ucraina e le conseguenze per gas e petrolio

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La “sanzione” più efficace per una stabilità a lungo termine sarebbe una veloce spinta in Ue e in Italia su efficienza energetica e fonti rinnovabili.

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Questa mattina, a poche ore dall’annuncio dell’avvio dell’operazione militare russa in territorio ucraino, abbiamo già avuto un’avvisaglia delle scontate conseguenze per i prezzi delle commodities energetiche.

A Londra il petrolio Brent ha superato i 103 dollari al barile con una fiammata di quasi il 7%, oltrepassando per la prima volta dal 2014 i 100 dollari al barile, mentre il Wti americano si è fermato a a 98 dollari al barile, con un rialzo del 6%.

Quanto al gas, sul TTF di Amsterdam, riferimento per il mercato europeo del gas, il prezzo è schizzato di oltre il 25%, sui 130 euro/MWh. E vedremo presto gli effetti anche su altre commodity, come quelle agro-alimentari.

Sul caro energia e sulla crisi energetica che potrebbe derivare da quella geopolitica in atto, ieri è intervenuto alla camera il ministro Cingolani, ricordando che l’Italia dipende dalla Russia per il 45% delle sue importazioni di gas (dai dati ministeriali sul 2021 risulta che il 39,9% dell’import passa dal Tarvisio, più esattamente il 38,2% della domanda italiana di metano).

L’aumento della produzione nazionale di 2,2 miliardi di metri cubi previsto dalle ultime misure del Governo, che dovrebbe portare il totale estratto annualmente in Italia a 5 miliardi di metri cubi, potrà fare poco per alleviare la nostra dipendenza dall’estero, visto che consumiamo oltre 76 miliardi di metri cubi di gas l’anno (dato 2021).

Anche l’intera Europa dipende dalla Russia per ben circa il 40% delle sue forniture di gas naturale e per circa un quarto di quelle di petrolio (46% del gas e 24% del petrolio, da dati Eurostat aggiornati al primo semestre 2021).

È assodato che la Russia finora abbia usato il gas come arma geopolitica, giocando un ruolo non secondario nel supply crunch che ha portato all’impennata dei prezzi degli ultimi mesi, come ribadito alcune settimane fa dallo stesso direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia Fatih Birol.

Grazie al prezzo del metano alle stelle, Gazprom nel 2021 ha raggiunto il suo record storico di utile, con guadagni raddoppiati rispetto al 2020, mentre nella mattinata di oggi le azioni del gigante energetico russo segnano un crollo del 36%.

Eventuali ulteriori riduzioni della fornitura di gas russo verso ovest avrebbero gravi conseguenze per l’Europa ma anche per la stessa Russia, che sarebbe costretta a rivolgersi ancora di più allo scomodo e ingombrante “alleato” cinese.

Prima della pandemia, 4 rubli su 10 accumulati nel bilancio federale russo da petrolio e gas, che rappresentavano il 60% delle esportazioni russe nel 2019 (fonte Reuters).

Le industrie russe non si sono mai riprese dalla caduta del comunismo e l’economia della Russia oggi è basata prevalentemente sull’esportazione di combustibili fossili, oltre che di materie dipendenti dall’energia, come ferro, acciaio, alluminio e altri metalli.

Ridurre la dipendenza dalle fossili, e dal gas e dal petrolio russi in particolare, è ora più che mai una necessità urgente per l’Europa e l’Italia, non solo per il clima: le “sanzioni” più efficaci, anche per una stabilità a lungo termine, sarebbero le azioni volte a spingere efficienza energetica e rinnovabili a casa nostra.

Insomma, l’attacco all’Ucraina di Putin, con il rischio di un’ulteriore escalation militare, non è ormai più una questione prettamente tra Russia, Ucraina e Usa (e Nato), ma coinvolge direttamente l’Unione europea che dovrà rimettersi in gioco con una propria strategia economica, militare ed energetica più lungimirante di quanto non abbia fatto finora.

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