Accumulo termico dell’elettricità, un potenziale trascurato

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Le soluzioni ETES, electrothermal energy storage, possono avere un ruolo importante nel decarbonizzare i consumi termici delle industrie, oltre a contribuire alle flessibilità del sistema.

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L’accumulo termico dell’elettricità (ETES, electrothermal energy storage), aiutando ad elettrificare i consumi termici soprattutto dell’industria, entro metà secolo potrebbe ridurre fino al 40% il consumo globale di gas e fino al 14% le emissioni legate all’energia.

A dirlo è un nuovo report su queste soluzioni tecnologiche pubblicato da Sistemiq, società di consulenza che si occupa anche di convogliare investimenti in start-up, e Breakthrough Energy, il fondo di investimento in innovazioni per l’energia noto per essere guidato da Bill Gates.

Il calore, è la premessa, incide per il 50% del consumo energetico mondiale e per il 40% delle emissioni di CO2 (dati 2019); circa metà va ai processi industriali, che comportano quasi il 20% delle emissioni globali.

La decarbonizzazione dei consumi termici dell’industria è dunque fondamentale ed è anche tecnologicamente possibile, anche se ci sono ancora ostacoli da superare nella competitività economica e nella preparazione tecnologica, in particolare per i processi ad alta temperatura (superiore a 400 °C).

Le tecnologie già oggi disponibili per elettrificare il calore industriale sono pompe di calore, caldaie e forni elettrici, mentre all’orizzonte ci sono le soluzioni basate sull’idrogeno verde.

C’è poi lo stoccaggio termico dell’energia elettrica, di cui si occupa il report: le tecnologie ETES usano l’elettricità per produrre calore e poi immagazzinarlo in un mezzo di accumulo come i mattoni. Questi sistemi possono essere caricati quando l’elettricità è più economica, ad esempio quando c’è un eccesso di produzione di elettricità rinnovabile. Il calore immagazzinato può quindi essere utilizzato per generare un flusso continuo di calore su richiesta.

Le tecnologie ETES oggi in commercio possono fornire calore fino a circa 400 °C, tipicamente sotto forma di acqua calda o vapore, spiega il report (qui infografica dal documento).

Parliamo dunque di sistemi che potrebbero coprire tutta la domanda di calore di varie produzioni, come quelle agroalimentari, della carta o della pasta di legno, che appunto richiedono tipicamente temperature fino a 400 °C.

I sistemi ETES oggi in commercio sono applicabili principalmente ai processi industriali che utilizzano acqua calda o vapore, più comuni in agroalimentare, chimico, tessile e cartario. Con queste applicazioni, il report stima che entro il 2030 ETES avrà il potenziale per elettrificare l’equivalente di circa l’8% dell’attuale consumo globale di gas, tagliando di circa il 2% le emissioni globali di gas serra legate all’energia.

Ci sono poi già batterie termiche che danno calore fino a 1000 °C (come quelle del progettto EDP-Condo di cui abbiamo già parlato) e sistemi ETES che arrivano fino a 1.500 °C sono in fase di sviluppo. Questo apre le porte a processi come la bioraffinazione (fino a 600 °C), il preriscaldamento dell’acciaio (fino a 700 °C) e il preriscaldamento del clinker ( fino a 900°C).

In futuro, dunque, l’ETES potrà essere applicato a molti altri processi, arrivando a quella riduzione del 30-40% dei consumi mondiali di gas al 2050 che anticipavamo. Oltre ai settori industriali citati, l’accumulo termico dell’elettricità potrà trovare spazio nella cosiddetta chimica verde, nel teleriscaldamento (come già sperimentato in Danimarca) e perfino nella cattura diretta della CO2 in atmosfera, un mercato che potrebbe forse svilupparsi dopo il 2030.

Queste applicazioni aggiuntive potrebbero far crescere di quasi 2,5 volte il potenziale di mercato.

Oltre a questo, prosegue il report, l’ETES è interessante per la sua integrazione in un sistema elettrico basato sulle rinnovabili: può aiutare a ridurre i picchi della domanda di elettricità (fino al 30%) più di altre tecnologie di elettrificazione industriale, e usare l’elettricità rinnovabile in eccesso nei periodi di elevata produzione solare ed eolica.

In questo, cioè nel ridurre i picchi di domanda elettrica per la produzione di calore, l’elevata efficienza dei sistemi ETES (90-95% dall’elettricità della rete al calore) e i costi di investimento relativamente bassi (circa la metà delle batterie al litio), secondo il report li rendono più convenienti di storage elettrochimici, caldaie elettriche e, in alcuni casi, anche alle pompe di calore.

Altro vantaggio delle tecnologie ETES è nella filiera: questi sistemi relativamente semplici si basano su materiali ampiamente disponibili, come i mattoni.

Rispetto alle altre soluzioni per decarbonizzare l’industria, il report sottolinea che il calore da idrogeno non è allo stadio commerciale e si prevede che sarà notevolmente più costoso dell’ETES a causa delle perdite di energia nel processo di produzione dell’H2.

Le pompe di calore sono invece più efficienti dal punto di vista energetico nel convertire l’elettricità in calore rispetto a ETES (efficienza del 200-300% per una pompa di calore rispetto al 90-95% per ETES) e quindi in genere più competitive in termini di costi. Tuttavia, si sottolinea, le pompe di calore possono richiedere interventi sostanziali agli impianti e non possono ancora raggiungere temperature superiori a 200 °C, mentre più della metà della domanda di calore industriale riguarda temperature superiori a quel valore.

Restano le caldaie elettriche: queste possono fornire le stesse temperature dell’ETES e i futuri forni elettrici supereranno i 1.000 °C. Qui il vantaggio dell’ETES è soprattutto nella flessibilità della domanda che porta.

Oggi l’ETES, secondo il report, può essere quasi competitivo in termini di costi con gli impianti a gas, mentre il calore da idrogeno si stima possa essere da tre a cinque volte più costoso di quello dalle caldaie a gas.

Il documento esamina in particolare la situazione in Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna e Texas. La previsione è che l’ETES sarà generalmente competitivo con le caldaie a gas entro il 2030 in Spagna, ma nelle altre regioni le tariffe elettriche penalizzano l’elettrificazione, che per l’ETES incontra anche la difficoltà della congestione della rete elettrica.

Serve insomma una spinta, da cui le richieste con cui si chiude il rapporto: incentivi, riforme delle tariffe elettriche, connessioni più veloci e possibilità per i sistemi ETES di fornire servizi di rete.

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