Quant’è difficile fare il pieno all’auto elettrica in Italia

Tecnologie, sistemi di ricarica, (in)compatibilità delle prese e dei metodi di pagamento, ritardi nello sviluppo delle infrastrutture. Con il contributo di RSE vediamo in sintesi quali elementi stanno frenando la diffusione della mobilità 100% elettrica nel nostro paese.

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Perché l’auto elettrica fa così fatica a decollare in Italia?

La domanda si ripresenta puntualmente, dopo la pubblicazione di ogni nuovo rapporto sull’andamento dei veicoli a zero emissioni a livello globale, vedi anche l’ultimo articolo di QualEnergia.it sul tema: L’auto elettrica e il boom annunciato e rimandato. Dati e tendenze

Il nostro paese è tra quelli che incontrano le maggiori difficoltà, per diversi motivi: mancanza di una politica nazionale con incentivi all’acquisto, resistenze dell’industria automobilistica, ampia diffusione dei motori alimentati a metano, oltre ai problemi comuni ad altri paesi, soprattutto la scarsa offerta di modelli 100% elettrici a costi abbordabili e la lentezza con cui si sta realizzando una rete di ricarica efficiente e capillare.

Con l’aiuto di Giuseppe Mauri di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico), QualEnergia.it ha cercato di capire, in particolare, quali problemi stanno frenando l’evoluzione di sistemi e tecnologie per fare il pieno di elettricità ai veicoli a batterie.

Il primo ostacolo è la compatibilità delle colonnine, che non è solamente quella “fisica” (la possibilità di rifornire ovunque la mia auto) ma anche dei metodi di pagamento.

Per quanto riguarda la compatibilità fisica, chiarisce Mauri, “lo standard europeo per i connettori è il CCS Combo 2, che consente di utilizzare sia le prese per la ricarica lenta fino a 22 kW in corrente alternata, sia quelle da 50 kW in corrente continua DC”.

La differenza, oltre ai tempi del rifornimento, parecchie ore vs pochi minuti nel caso delle future colonnine super-veloci DC, è che le paline da 22 kW richiedono il caricatore che si trova nella vettura, mentre le colonnine rapide hanno il dispositivo integrato e difatti sono molto più ingombranti e costose delle “sorelle” minori a 22 kW.

Inoltre, è bene precisare che Nissan utilizza invece lo standard riassunto dall’acronimo CHAdeMO.

C’è poi la rete in espansione dei super-charger di Tesla a 120 kW, che però sfrutta una tecnologia diversa da tutte le altre, quindi solo chi possiede una Tesla può accedere a questo servizio di ricarica.

Per quanto riguarda i metodi di pagamento, prosegue Mauri, “secondo la normativa europea l’automobilista dovrebbe essere in grado di pagare con quello che ha nel portafoglio, ma, di fatto, è quasi impossibile utilizzare contanti o carte di credito, perché il modello di vendita che si è sviluppato finora in Italia prevede l’impiego di tessere o applicazioni proprietarie”.

In sostanza, chi guida una vettura elettrica deve misurarsi con una realtà molto frammentaria in cui pianificare con molta attenzione gli spostamenti, avendo la certezza di possedere la tessera o l’applicazione “giusta” sul telefonino.

Tra l’altro, evidenzia l’esperto di RSE, finora i gestori delle colonnine non si sono accordati per creare una sorta di sistema bancario che permetta di usare la medesima tessera sui diversi circuiti dei punti di ricarica.

Può darsi che in futuro verrà in aiuto la tecnologia blockchain, con nuovi sistemi di pagamento basati su registri digitali “aperti” – vedi QualEnergia.it per capire cos’è e come funziona la blockchain – ma per il momento siamo ancora a livello di sperimentazioni molto limitate.

Un’altra frontiera tecnologica di cui si discute spesso è il vehicle-to-grid o V2G, che identifica le applicazioni che fanno “dialogare” l’auto elettrica con la rete.

Così le batterie dei veicoli possono caricarsi/scaricarsi secondo una molteplicità di parametri, ad esempio: andamento dei consumi elettrici, prezzo dell’energia, eventuali emergenze (blackout), picchi di domanda improvvisi, costituendo delle centrali elettriche virtuali formate dal raggruppamento di centinaia o migliaia di accumulatori.

Tuttavia, spiega Mauri, “lo standard europeo Combo 2 non abilita le funzioni V2G. Enel è molto avanti sul fronte del vehicle-to-grid a livello europeo e ha avviato dei progetti-pilota in Danimarca e Gran Bretagna, ma in Italia ancora non è possibile parlare in modo esteso di questa tecnologia, perché bisogna prima cambiare le regole del mercato elettrico e consentire alle flotte di veicoli di partecipare ai diversi servizi per il dispacciamento”.

Su questo punto e sull’avanzamento delle infrastrutture di ricarica Enel, in particolare le nuove colonnine veloci multi-standard EVA+, rimandiamo anche alla nostra intervista al responsabile della nuova divisione di Enel X, Francesco Venturini: Fotovoltaico, efficienza, mobilità… cosa bolle in pentola in casa Enel?

Molte speranze infine sono riposte nei progetti che puntano a realizzare delle reti europee di colonnine.

È notizia di questi giorni l’intenzione di diverse case automobilistiche, tra cui FCA, di allargare il consorzio Ionity, fondato lo scorso anno dai costruttori tedeschi più Ford.

L’obiettivo è installare 400 stazioni (ognuna con sei punti di ricarica) in un paio d’anni sulle principali arterie stradali europee, con prestazioni notevolmente superiori a quelle attuali: si parla, infatti, di rifornimento ultra-veloce a 350 kW con una tensione di 920 volt e lo standard CCS Combo 2 per la connessione.

In questo modo, termina Mauri, “l’automobilista potrà caricare le batterie in pochi minuti, quindi un tempo compatibile con il rifornimento di una vettura tradizionale, e potrà viaggiare su lunghe distanze”.

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