Quali impatti per l’Italia e la sua agricoltura con il clima del futuro?

Nell’area del Mediterraneo al 2050-2060 è previsto un aumento delle temperature medie di almeno 1,5 gradi, rispetto ai valori preindustriali, con una riduzione delle precipitazioni e un probabile intensificarsi degli eventi “estremi” come le ondate di calore e siccità. Le conseguenze per il nostro paese secondo gli esperti dell’Enea.

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Di quanto saliranno le temperature in Italia nei prossimi decenni? Quali saranno gli impatti ambientali dei cambiamenti climatici, in particolar modo per le attività agricole?

Dopo la prima puntata sul futuro del clima, dedicata all’andamento delle emissioni globali di gas-serra e alle soluzioni per ridurre la CO2 o rimuoverla dall’atmosfera (Perché geoingegneria e CCS non salveranno il Pianeta), QualEnergia.it approfondisce il tema dell’evoluzione climatica guardando all’area del Mediterraneo, particolarmente sensibile ai mutamenti che ci attendono.

“I modelli climatici sono abbastanza concordi nel ritenere che nel 2050-2060 nel bacino mediterraneo ci sarà un aumento delle temperature medie non inferiore ad un grado e mezzo, rispetto ai livelli preindustriali del 1850, con una contemporanea diminuzione delle precipitazioni medie”, afferma Alessandro Dell’Aquila, climatologo dell’Enea, l’agenzia nazionale specializzata in nuove tecnologie per l’ambiente e l’energia.

“Il Mediterraneo è considerato un hot-spot, una parte del nostro Pianeta che soffrirà più di altre zone geografiche, perché si prevede che in futuro il clima potrebbe diventare complessivamente più arido”, aggiunge Luigi Ponti, agronomo dello stesso ente.

Entrambi gli esperti lavorano al progetto europeo MED-GOLD, finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020 e coordinato dall’ente italiano di ricerca, che coinvolge diversi partner industriali in campo agroalimentare, oltre a università e laboratori di vari paesi.

Il progetto è appena partito e durerà quattro anni, con l’obiettivo di fornire servizi climatici innovativi destinati alle tre colture più tipiche del Mediterraneo: l’olivo, la vite e il grano duro.

In altre parole, si cercherà di tradurre dati e informazioni sul clima in rimedi che dovrebbero consentire all’agricoltura di adattarsi alle future condizioni ambientali.

Ponti fa l’esempio di quanto accaduto nel 2014, quando l’infestazione della mosca delle olive aveva messo in ginocchio l’intera produzione olivicola italiana, perché gli agricoltori erano impreparati a respingere la minaccia di questo parassita.

“Quella del 2014 fu un’estate non troppo calda ma relativamente umida, due fattori che avevano favorito la proliferazione della mosca”, ricorda Ponti.

Uno dei compiti del progetto MED-GOLD è cercare di elaborare previsioni stagionali a 6-8 mesi sempre più accurate.

In questo modo, spiega Ponti, “gli olivicoltori potrebbero conoscere con un certo anticipo gli anni più rischiosi per la diffusione del parassita, attuando misure di prevenzione e adattamento, ad esempio monitorare la popolazione della mosca e trattare le piante con gli antiparassitari, in modo più tempestivo rispetto a quanto è possibile fare oggi”.

Il 2017, racconta poi Dell’Aquila, “è stato il secondo o terzo anno più caldo a livello globale, da quando sono iniziate le misurazioni nel 1880, e l’anno più caldo in assoluto tra quelli che non hanno avuto gli effetti di El Niño, il riscaldamento periodico delle acque del Pacifico tropicale”.

I paesi dell’Europa sudoccidentale, tra cui l’Italia, hanno quindi vissuto un periodo di siccità intensa, con conseguenti problemi di approvvigionamento idrico, dovuti principalmente alle scarse precipitazioni invernali, anche di tipo nevoso.

“I modelli climatici non sono perfetti”, prosegue Dell’Aquila, “ma raccontano una storia comune, una tendenza, che potrebbe poi vedere il Mediterraneo esposto a una maggiore frequenza di eventi estremi, come le alluvioni e le ondate di calore, eventi che però sono molto difficili da inserire nelle proiezioni”.

Difatti, chiarisce l’esperto, “un modello riproduce ciò che sappiamo, ma non sempre le nostre conoscenze sono sufficienti, anche perché c’è il problema dei feedback, cioè le risposte del clima all’influenza di determinati fattori, ad esempio la conformazione delle nubi, le correnti oceaniche, lo scioglimento dei ghiacci marini e continentali”.

Per passare dal clima all’agricoltura, il compito è ancora più difficile.

La climatologia può contare su un certo numero di modelli standard, come quelli sviluppati dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite che studia il global warming), che permettono di costruire delle probabilità statistiche (ad esempio, nella terminologia usata dall’IPCC, “extremely likely” comporta una probabilità di accadimento pari al 95-100%).

Non esiste, invece, un modello standard per proiettare l’evoluzione del Pianeta sul piano della biologia. Come cambierà un certo ecosistema biologico-agricolo come conseguenza del cambiamento climatico?

Non si può ancora fornire una risposta univoca, chiarisce Ponti, “perché il grado di complessità è davvero elevato. Bisogna stimare le interazioni tra tutti gli organismi animali e vegetali, compresi i parassiti, con la loro diversa capacità di adattarsi alla variabilità delle temperature e delle precipitazioni atmosferiche”.

La sfida del progetto MED-GOLD, in definitiva, è incrociare i dati climatici e biologici in nuovi modelli, non solo stagionali ma anche su un orizzonte pluridecennale, che consentiranno di valutare in modo più preciso e attendibile diversi elementi.

Ad esempio: quali aree del Mediterraneo avranno delle rese agricole migliori per le diverse colture, se converrà introdurre nuove varietà di grano duro o anticipare la vendemmia dopo un’estate particolarmente calda, se la produzione di vino e olio potrà essere estesa in zone che prima erano sfavorite, quali piante saranno maggiormente infestate dai parassiti.

(Articolo pubblicato originariamente il 7 febbraio 2018)

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