UE, consumi di energia ai livelli del ’90 e fossili sempre più d’importazione

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Il consumo di energia dell'Europa dopo la crisi si attesta ora sui livelli del 1990, emerge dalle nuove statistiche pubblicate da Eurostat. In 15 anni è scesa la quota di energia da fossili, mentre si dipende molto di più all'estero per gas, petrolio e carbone. Campionessa di decarbonizzazione la Danimarca.

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Grazie alle rinnovabili, in Italia nel giro di 15 anni la quota di energia da fossili sui consumi totali è scesa di 13 punti percentuali, mentre per gas, carbone e petrolio continuiamo a dipendere quasi completamente dalle importazioni.

È uno dei molti dati sull’energia nell’UE diffusi ieri da Eurostat, con una nuova pubblicazione (link in basso).

La domanda di energia dell’Europa dopo la crisi, emerge dalle statistiche, si attesta ora sui livelli del 1990.

Il consumo interno lordo UE, infatti, nel 2015 è stato pari a 1.626 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), il 2,5% sotto il dato del 1990 e l’11,6% in meno rispetto al suo picco di quasi 1.840 Mtep del 2006.

Pari a quasi tre quarti del consumo dell’UE di energia, i combustibili fossili continuano a rappresentare di gran lunga la principale fonte di energia, anche se il loro peso è costantemente diminuito nel corso degli ultimi decenni: dal 83% nel 1990 al 73% nel 2015 (vedi grafico).

Aumenta, invece, per quanto riguarda le fossili, la dipendenza dell’UE dalle importazioni, con il 73% dei combustibili fossili importato nel 2015, rispetto al 53% del 1990. Un motivo in più per accelerare la “disintossicazione” da petrolio, gas e carbone, aggiungiamo noi.

Il più grande consumatore di energia nell’UE è la Germania, con 314 Mtep nel 2015, il 19% del consumo totale dell’Unione. Seguono Francia (253 Mtep, pari al 16%), Regno Unito (191 Mtep, 12%), Italia (156 Mtep,10%), Spagna (121 Mtep, 7%) e Polonia (95 Mtep, 6%).

Rispetto al 1990, le maggiori riduzioini dei consumi energetici nel periodo considerato sono state registrate nei tre Stati baltici UE – Lituania (-57%), Lettonia (-45%) ed Estonia (-37%) – così come in Romania (-44%) e in Bulgaria (-33%):  un’evidente conseguenza del crollo del blocco ex-sovietico.

Al contrario, i maggiori incrementi sono stati registrati a Cipro (+ 41%), Irlanda (+ 38%), Spagna (+ 35%) e Austria (+ 33%). In Italia i consumi sono passato da 153,5 Mtep nel 1900 a 156,2 Mtep nel 2015.

Per quel che riguarda la dipendenza dalle fossili, nei 15 anni considerati è calata in tutti gli Stati membri.

Ottimo il risultato della Danimarca (dal 91% del 1990 al 69% nel 2015), della Lettonia (dal 83% al 61%) e della Romania (dal 96% al 74%).

In Italia la quota di energia da fonti fossili sui consumi totali è passata dal 94% del 1990 all’81% del 2015.

Tuttavia la grande maggioranza degli Stati membri rimane altamente dipendente dai combustibili fossili (vedi grafico sotto).

Nel 2015 i combustibili fossili hanno pesato per meno della metà del consumo di energia in soli tre Stati membri: Svezia (30%), Finlandia (46%) e Francia (49%).

Vediamo nel grafico come è cresciuta in quasi tutta l’UE la dipendenza dall’import di combustibili fossili (linea rossa)

Notevole il caso del Regno Unito, passato da un tasso di dipendenza del 2% nel 1990 al 43% nel 2015, ma anche quelli di Paesi Bassi (dal 22%al 56%), Polonia (dall’1% al 32%) e Repubblica Ceca (dal 17 al 46%).

Nel 2015, lo Stato membro di gran lunga meno dipendente dalle importazioni di combustibili fossili è la Danimarca (4%), seguita da Estonia (17%), in Romania (25%) e Polonia (32%).

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