Una delle cose più frustranti nello scrivere di energie rinnovabili è il parlare di mirabolanti progetti e ingegnose innovazioni, che però poi, dopo tante promesse, scompaiono nel nulla. Una moria che sembra affliggere in particolar modo l’Italia, forse per la difficoltà di convincere ad appoggiare progetti innovativi un sistema finanziario e industriale molto conservatore e timoroso dei rischi.
Fa quindi particolarmente piacere poter constatare che, una volta tanto, un progetto tutto italiano di nuova tecnologia rinnovabile è andato al di là dell’idea astratta, sfociando in un impianto di taglia industriale, che potrebbe aprire la strada a una filiera produttiva nel nostro meridione.
Parliamo del progetto Stem (Solare Termodinamico Magaldi) portato avanti dalla Magaldi Srl, che dopo la costruzione nel 2014 di un piccolo prototipo da 100 kW, il 30 giugno ha inaugurato uno Stem di taglia industriale da 2 MW, posto vicino alla centrale termoelettrica di San Filippo del Mela, presso Milazzo, in Sicilia, che costituirà il modulo dimostrativo di base di questa tecnologia (vedi foto titolo).
Ma cos’ha di particolare questo Stem? Di solare termodinamico, come sappiamo, ce ne sono essenzialmente di due tipi diversi: quello che usa chilometri di specchi parabolici che concentrano la luce su tubi, e quello che, impiegando centinaia di eliostati (specchi che seguono il sole per riflettere la sua luce sempre nello stesso punto), indirizza la luce su una caldaia centrale. In entrambi i casi il concetto è però lo stesso: scaldare a centinaia di gradi un fluido vettore, in genere un olio minerale diatermico o un sale fuso, per generare poi vapore surriscaldato da inviare in una turbina elettrica.
Questi fluidi, accumulati in serbatoi termicamente isolati, assicurano il principale vantaggio del solare termodinamico: una scorta di calore da usare per produrre elettricità anche quando il sole non c’è, rendendo la fonte più programmabile del fotovoltaico.
Ma gli oli diatermici hanno il difetto di non poter superare i 300°C , che è una temperatura piuttosto bassa per ottenere un vapore di qualità, e sono infiammabili e fortemente inquinanti. I sali minerali fusi, per lo più nitrati di sodio e potassio, possono essere scaldati a circa 500°C e sono ambientalmente innocui, ma pongono notevoli problemi tecnici, soprattutto perché se si raffreddano sotto i 300°C tornano solidi, otturando i tubi, il che rende obbligatorio usare metano per scaldare il fluido nei periodi di scarsa insolazione.
Ebbene, l’impianto Stem ha risolto i problemi connessi ai fluidi vettori con un sistema decisamente originale: impiegando semplice sabbia.
L’attività primaria della Magaldi è quella di costruire impianti industriali per applicazioni ad alta temperatura, conosce quindi molto bene la tecnologia del “letto fluido”, quella con cui si tiene in sospensione di una polvere solida tramite getti d’aria, per esempio per ottenere una combustione completa. Nel caso dello Stem il letto fluido, realizzato con la consulenza dell’Università Federico II di Napoli, è costituito da sabbia di fiume, costituita di silice in granelli di 0,2 millimetri o meno.
Come si vede nelle foto, il cuore dell’impianto è un cilindro in acciaio, sormontato da un grande specchio quadrato.
Nel cilindro è ospitata una camera dalla forma studiata dall’Istituto di Ottica del Cnr, per intrappolare la luce solare riflessa al suo interno dal grande specchio quadrato superiore, a sua volta illuminato da 786 eliostati (foto sotto), ognuno dotato della concavità necessaria per mettere a fuoco la luce all’interno della camera.
Nella camera arroventata dai 5.500 metri quadri di eliostati, volano tonnellate di sabbia, che raggiunti 650 °C di temperatura, torna in basso e cede il calore a una serpentina di tubi pieni di acqua, ottenendo fino a 20 tonnellate al giorno di vapore surriscaldato di ottima qualità. La velocità della sabbia è stata calcolata sia per consentire uno scambio di calore ottimale, che per evitare l’erosione delle parti in metallo.
Meccanicamente il sistema è molto più semplice e sicuro degli altri tipi di solare termodinamico e quindi richiede minori costi di gestione e manutenzione, non avendo fluidi caldi e pericolosi da pompare fra tubi, caldaie e serbatoi, ma solo una “nuvola” di sabbia chiusa in una camera.
La quantità di calore accumulata dalle 250 tonnellate di sabbia nell’impianto è tale da poterlo far funzionare per sei ore di fila alla massima potenza (o molto di più a potenza ridotta), anche senza sole. E il controllo elettronico di eliostati, letto fluido e scambiatori di calore consente di dosare la quantità di energia fra accumulo e produzione diretta di vapore, a secondo della domanda e del prezzo dell’elettricità.
Lo Stem copre una superficie di 2,25 ettari e ha una potenza di 2 MW elettrici. Il prototipo, però, non ha una sua turbina: dopo la messa a punto dell’impianto, che richiederà alcune settimane, il vapore prodotto verrà trasportato con tubi alle turbine della vicina centrale ad olio combustibile di A2A, aggiungendosi a quello ottenuto dalla combustione dell’olio.
Ma anche se non produrrà elettricità direttamente, l’impianto di Milazzo servirà a dimostrare ai compratori, probabilmente stranieri, visto che il solare termodinamico si presta specialmente per nazioni dotate di forte insolazione e aree piane desertiche, l’efficacia e l’economicità del sistema. Non è certo un caso che all’inaugurazione fosse presente l’onorevole Mike Rann, ex ambasciatore australiano in Italia, rappresentante di uno dei paesi che nei prossimi anni, secondo gli accordi di Parigi, dovrà fare di più per abbassare la sua impronta di carbonio e fra i meglio dotati delle condizioni ideali per l’uso del solare termodinamico.
Naturalmente per gli usi di grande scala necessari alla rete, un impianto da 2 MW sarebbe del tutto insufficiente, ma lo Stem di Milazzo è l’unità di base di un sistema modulare che può in realtà essere scalato a qualunque potenza, semplicemente moltiplicando le “camere a sabbia” e “incastrando” fra loro i relativi campi eliostatici, indirizzando infine tramite tubi il vapore prodotto a una turbina centrale o a una centrale termica già esistente.
Oltre a ciò, come tutti gli impianti termici, lo Stem produce anche molto calore di scarto, che potrà essere impiegato per usi civili o industriali, come la dissalazione delle acque.
E, come ci ha detto confidenzialmente un tecnico della centrale, la collaborazione con i ricercatori del Cnr, potrebbe portare anche a una innovazione straordinaria, unica nel suo genere: utilizzare gli eliostati per produrre ulteriore energia elettrica, facendo si che essi riflettano solo la parte di spettro solare utile a riscaldare la sabbia, mentre il resto verrebbe utilizzato direttamente da pannelli fotovoltaici montati direttamente sugli specchi.