In Italia il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) prevede che entro il 2030 siano installati 873 MW di CSP (“Concentrating Solar Power”, impianti solari a concentrazione) per perseguire i target di decarbonizzazione del sistema elettrico nazionale.
Nel corso del 2021 è entrato in funzione nel nostro Paese il primo impianto commerciale, situato a Partanna (Trapani): ha una potenza di 4,26 MW ed è dotato di un accumulo di 15 ore.
Un secondo impianto della stessa taglia e tipologia è in fase di realizzazione, sempre nella provincia di Trapani, mentre un terzo della potenza di 1 MW è in fase di commissioning.
In generale, però, questa tecnologia stenta a decollare. Abbiamo discusso dei perché con Walter Gaggioli, responsabile della divisione “Smart Sector Integration e Generazione Distribuita da FER” di Enea.
Ingegner Gaggioli, quali sono i principali limiti di questa tecnologia?
Occorre fare un ragionamento separato tra impianti dedicati alla produzione di sola energia elettrica e quelli destinati anche alla produzione di energia termica. Nel primo caso gli impianti solari termodinamici, al pari di altre tecnologie rinnovabili, richiedono investimenti concentrati soprattutto nella fase di costruzione e, al momento, risultano più costosi rispetto, per esempio, al fotovoltaico. Ciò dipende soprattutto dalla specificità di ciascun impianto, dalla mancanza di moduli standard e dalle minori dimensioni del mercato. In passato la discrepanza temporale tra sistemi di incentivazione e reale capacità operativa di realizzare gli impianti non ha permesso che la tecnologia si diffondesse. C’è poi il continuo rimandare dell’emanazione del decreto Fer 2 che impedisce di fare un’opportuna programmazione.
Inoltre, l’inflazione degli ultimi anni post-covid, come per altri fonti rinnovabili, ha aumentato i costi di realizzazione, specie nel caso di impianti CSP a sali fusi a collettori lineari, che di fatto sono ancor non hanno raggiunto un livello di industrializzazione tale da permettere economie di scala. Da ultimo, la concorrenza di operatori cinesi in alcuni settori come i tubi ricevitori rischia di creare dei monopoli non concorrenziali.
E per quanto riguarda la produzione di energia termica?
Nelle applicazioni termiche questa tecnologia non ha il problema di doversi interfacciare con le turbine e quindi il processo di standardizzazione in taglie di varie dimensioni è agevolato. E con gli aumenti del gas metano ha acquisito maggiore appetibilità. La tecnologia si presta per essere impiegata anche in aree caratterizzate da valori di irradiazione non molto elevata, fino a 900 kW/m2/anno, come dimostrano impianti esistenti in Belgio, Danimarca e Svezia. In Italia sono presenti operatori che realizzarono collettori solari anche con processi automatizzati. Anche in queste applicazioni la possibilità di avere un’energia dispacciabile e di ibridizzazione è il punto di forza della tecnologia.
La sfida è quella di realizzare soluzioni che possano essere installate su falde di capannoni industriali e individuare soluzioni impiantistiche il più autonome e affidabili possibile. Dal punto di vista degli incentivi questa tecnologia soffre alcune limitazioni di taglie presenti nel conto termico, più adatto per il solare termico tradizionale, e richiederebbe un approfondimento per impianti di media taglia.
Quali sono invece i vantaggi?
La costruzione degli impianti solari termodinamici è più complessa rispetto a quelli fotovoltaici, ma non richiede l’impiego di materiali critici per l’approvvigionamento o lo smaltimento e si basa in buona parte su lavorazioni di tipo tradizionale, come opere civili e carpenteria metallica. Consente quindi un elevato coinvolgimento di imprenditoria e mano d’opera locali.
Il sector coupling (connettere due infrastrutture/sistemi rinnovabili, ndr) rappresenta poi un’opportunità assolutamente da cogliere. Si sta ad esempio diffondendo l’impiego congiunto di solare termodinamico e fotovoltaico, ne è una prova il progetto Atacama 1 in Cile, da 110 MW con accumulo. Tra i pro c’è il basso costo dell’energia, nelle ore diurne, accoppiato a un’elevata dispacciabilità della produzione. I tempi relativamente rapidi di installazione della parte fotovoltaica dell’impianto consentono inoltre agli investitori di iniziare a incassare introiti già nelle fasi iniziali, prima di aver completato la sua costruzione.
Nel 2020 Enea lanciò un piano triennale di ricerca sui principali componenti degli impianti solari a concentrazione. Come è andata a finire?
La ricerca italiana in questo settore, sin dagli anni ’60 del secolo scorso, è sempre stata all’avanguardia. Negli anni 2000 Enea ha sviluppato un’originale linea di ricerca che prevede l’impiego dei sali fusi come fluido termovettore e di accumulo in sistemi che impiegano concentratori solari lineari di tipo parabolico. Questa soluzione permette di aumentare la massima temperatura operativa del campo solare fino a 550 °C, e quindi incrementare l’efficienza di conversione della radiazione solare in energia termica/elettrica, oltre a consentire la riduzione della dimensione degli accumuli termici usati per immagazzinare l’energia solare captata. Questa soluzione è stata recentemente scelta dalla società tedesca TSK Flagsol e dall’ente di ricerca tedesco DLR per sviluppare una nuova generazione di impianti solari termici CSP a collettori solari parabolici lineari.
Si sta investendo in questo fronte?
A livello internazionale, le aziende del settore, in collaborazione con università e centri di ricerca, stanno investendo ingenti risorse in progetti di ricerca e sviluppo al fine di migliorare la tecnologia e individuare soluzioni tecniche e configurazioni di impianto che consentano di agevolare l’ibridizzazione dei sistemi CSP/CST, Concentrating Solar Thermal, con altre fonti energetiche e di favorire l’utilizzo del calore prodotto ad alta temperatura per la produzione di combustibili chimici sintetici prodotti dall’energia solare.
A livello di tecnologia, l’obiettivo è aumentare l’efficienza di conversione della fonte solare e ridurre il costo dei componenti, al fine di rendere più competitivo il costo dell’energia elettrica/termica prodotta: ciò si traduce nello sviluppo di materiali più performanti, come coating più efficienti e stabili, superfici riflettenti autopulenti e integrate con sensori, oppure nell’individuazione di processi di fabbricazione meno costosi, nella smartizzazione dei componenti e nell’automazione dei processi di controllo, nello sviluppo di fluidi termovettori a basso impatto ambientale, basso costo ed elevate prestazioni.
Qual è lo stato di salute del solare ad alta temperatura a livello globale?
Attualmente, i sistemi a collettori lineari, più diffusi a livello commerciale, sono caratterizzati da efficienze medie annue di conversione dell’energia solare in energia elettrica compresa tra il 9% ed il 15%, mentre l’efficienza media annuale di conversione da solare a elettrico dei sistemi a torre è pari a circa il 14-18%. I sistemi Dish (impianti con collettori parabolici circolari, ndr), a causa dell’elevato costo, attualmente non hanno trovato applicazioni di rilievo a livello commerciale.
E in termini di potenza installata?
La capacità mondiale degli impianti CSP operativi ammonta a circa 6,6 GW, e attualmente sono in costruzione altri impianti per un totale 1,5 GW . La maggior parte degli impianti operativi sono localizzati in Spagna, Usa e Cina, rispettivamente 33%, 23% e 9% della potenza complessiva installata. Negli ultimi anni questa tecnologia sta interessando anche nuovi mercati, come testimoniato dai nuovi impianti realizzati e in costruzione in Marocco, Sud Africa, India, Emirati Arabi e Cile.
La maggior parte dei degli impianti operativi (circa il 76%) è costituita da sistemi solari a collettori parabolici lineari che impiegano come fluido termovettore olio diatermico e sali fusi come materiale di accumulo, e da sistemi a torre che da soli rappresentano rispettivamente il 76% e il 21% del totale degli impianti ad oggi operativi. Nel caso dei sistemi solari a concentrazione a torre, circa il 60% degli impianti impiega i sali fusi come fluido termovettore e di accumulo, mentre la restante frazione impiega vapore come fluido termovettore.