Brexit e le possibili conseguenze per il futuro dell’energia in Europa

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Quali potrebbero essere le conseguenze per i mercati energetici di un'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea? Un recente studio ha riassunto le probabili implicazioni per i costi delle forniture, la sicurezza degli approvvigionamenti e la tutela ambientale.

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(Articolo pubblicato originariamente il 17 giugno, lo riproponiamo oggi, 24 giugno, dopo la notizia che ha vinto la Brexit con il 52% contro il 48%)

Che cosa succederà se la Gran Bretagna dovesse uscire davvero dall’Unione europea? Sui diversi scenari di una Brexit si può speculare finché si vuole. Allora domandiamoci quali potrebbero essere le sue conseguenze per i mercati energetici.

Un recente studio (in allegato in basso) ha riassunto le probabili implicazioni per i costi delle forniture, la sicurezza degli approvvigionamenti e la tutela ambientale. Con risultati che dovrebbero far scattare più di un campanello d’allarme tra politici ed elettori chiamati a votare al referendum del 23 giugno. I firmatari del documento sono Michael Grubb (professore di politiche energetiche internazionali presso UCL Institute of Sustainable Resources) e Stephen Tindale, direttore dell’Alvin Weinberg Foundation.

Rinnovabili a rischio?

Nel breve termine, sostengono i due autori, le conseguenze della Brexit sull’energia sarebbero limitate, perché si aprirebbe una fase di negoziato e rimarrebbero in vigore tutte le norme europee.

Certo è lecito aspettarsi un rallentamento degli investimenti per nuove infrastrutture e anche, si legge nello studio, una frenata nello sviluppo delle fonti rinnovabili (l’UE, infatti, con ogni probabilità non avrebbe più alcun interesse a “premere” su Londra per il raggiungimento degli obiettivi al 2020).

Molto dipenderà dalle scelte di un ipotetico governo post-Brexit. Conviene ricordare le caratteristiche principali del mercato inglese dell’energia. Sul fronte del gas, la situazione è più “pacifica” perché la Gran Bretagna importa circa metà del suo fabbisogno, principalmente attraverso gasdotti dalla Norvegia e in quota minore dal Qatar attraverso le navi metaniere che trasportano LNG.

Gli approvvigionamenti, insomma, sono relativamente stabili e sicuri. La maggiore incognita, in caso di Brexit, sarebbe data dalla necessità di acquistare più combustibile da Paesi esterni all’area economica europea (EEA) con un possibile incremento di costi.

Le reti mancanti

È sul versante elettrico che il quadro rischia di complicarsi. La Gran Bretagna importa una piccola frazione di elettricità, pari al 6,5% circa dei suoi consumi nazionali. L’ostacolo più rilevante è di tipo fisico, perché la capacità d’interconnessione tra il Regno Unito e l’Europa continentale è tuttora sottodimensionata.

Non a caso, National Grid (l’equivalente inglese della nostra Terna) vorrebbe raddoppiare questa capacità, stimando benefici nell’ordine di 500 milioni di sterline l’anno grazie a un incremento delle importazioni elettriche. Altrimenti l’Inghilterra rischia di diventare un’energy-island, cioè un’isola energetica dove gli scambi con l’esterno sono limitati. Ma se per il gas Londra potrebbe rimediare facendo arrivare più combustibile liquefatto via nave, nel campo della generazione elettrica è impensabile affidarsi a importazioni che non siano provenienti dai Paesi più vicini.

Più interconnessione con l’Europa vorrebbe dire maggiori opportunità di scambi bidirezionali di elettricità prodotta con le rinnovabili. La Gran Bretagna trarrebbe vantaggio dai minori prezzi all’ingrosso sui mercati continentali; inoltre, potrebbe partecipare attivamente a quel mercato unico dell’energia, che Bruxelles intende promuovere anche con future linee di trasmissione di elevata capacità.

La costruzione di nuovi impianti di generazione in Gran Bretagna (parchi eolici offshore, centrali a gas e anche reattori nucleari), in buona sostanza, dovrà andare di pari passo con un potenziamento delle reti elettriche transnazionali.

L’indipendenza ha un costo

Per realizzare nuovi interconnettori, evidenzia il documento redatto da Grubb e Tindale, servono accordi bilaterali e un notevole livello di cooperazione tra i paesi coinvolti. La Brexit potrebbe rallentare parecchio gli investimenti o anche bloccarli del tutto. Nella peggiore delle ipotesi, cioè la fuoriuscita inglese dall’area economica europea (i cui paesi membri, è bene ricordare, devono comunque seguire le regole UE in tema di energia), i progetti inglesi come la prevista rete del Mare del Nord perderanno i fondi europei.

Inoltre, dovranno competere con progetti analoghi sponsorizzati da Bruxelles, ad esempio le connessioni elettriche Norvegia-Germania. In definitiva, affermano gli autori dello studio, l’eventuale Brexit renderà la Gran Bretagna un attore più debole nelle grandi partite dell’energia.

La scommessa del 23 giugno, insomma, non è tanto tra Europa sì o no, ma tra integrazione dei mercati o piena (e tuttavia costosa) indipendenza.

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