Nel 2010 in clima di “rinascimento nucleare” il Tecnology roadmap sul nucleare redatto dalla Nuclear Energy Agency, congiuntamente alla IEA (International Energy Agency), delineava uno scenario energetico al 2050 in cui il numero di reattori installati avrebbe raggiunto la potenza di 1.200 GW, in modo da produrre il 25% dell’elettricità del pianeta.
Si trattava più che di una previsione, di un auspicio, ma l’incidente di Fukushima, l’anno successivo tolse ogni valore a quel documento. L’incidente ebbe l’effetto di far chiudere anticipatamente alcuni reattori (in particolare in Germania) e di bloccare temporaneamente l’avvio di nuovi progetti.
Nella nuova versione pubblicata a gennaio 2015, la stima è stata ridimensionata a 930 GW e il target relativo alla quota di elettricità al 17%, ma si tratta comunque di una visione molto ottimistica poiché le cose non stanno andando in questa direzione e per raggiungere questo target servirebbe una straordinaria accelerazione negli investimenti che, lo sottolinea lo stesso report, dovrebbero ammontare a ben 4.473 miliardi di dollari. Il target dell’Iea mira a limitare l’aumento medio della temperatura a 2 gradi celsius, ma imporrebbe la connessione alla rete di almeno 10 GW l’anno nel corrente decennio e più del doppio nel periodo 2011-2030.
La situazione attuale
Nel 2013 l’atomo ha prodotto 2.478 miliardi di kWh (TWh, pari al 10,8% del totale), il 10% in meno del 2010. Anche in Europa la produzione è in costante calo, nonostante persista l’eccezione francese che nel 2014 ha stabilito un nuovo record, producendo 416 TWh (per capirci molto più dell’intera domanda italiana che è stata pari a 309 TWh).
L’avvio di nuovi reattori negli ultimi trent’anni è stato centellinato a poche unità l’anno e il timido aumento nella prima decade del 2000 ha subito la battuta d’arresto post incidente di Fukushima.
Quattro sono i nuovi reattori del 2013 per un totale 3.986 MW. Quattro anche nel 2014, per un totale di circa 5mila MW: tre in Cina, uno in Russia e uno in Argentina che era in costruzione da parecchio tempo. Siamo a metà del trend auspicato dal Tecnology Roadmap Nea/Iea. Nel 2015 si segnala l’avvio del reattore cinese “Fangjashan-2”, un CPR-1000 da 1.000 MW, connesso alla rete il 12 gennaio 2015, anche se ancora non risulta l’avvio al servizio commerciale. Entro l’anno entrerà in servizio anche quello coreano Shin Wolsong 2 che è stato avviato a fine febbraio.
Quanti impianti sono in costruzione?
Ne risultano sessantanove, un discreto numero che però va analizzato con attenzione per i ritardi che in questo settore sono nell’ordine degli anni. Alcuni hanno una lunga storia alle spalle, altri non vedranno presto la luce, come nel caso di Taiwan, dove il Consiglio per l’energia atomica ha messo in naftalina la quarta centrale nucleare, quella di Lungmen dove dal 1999 sono in costruzione due reattori da 1.300 MW ciascuno. Il primo risulta quasi terminato ma le proteste dell’opinione pubblica hanno fatto adottare la scelta di un blocco dei lavori di tre anni.
Fra i cantieri più vecchi, spicca certamente quello di Watt Bar 2, un reattore statunitense la cui costruzione era stata avviata nel lontano dicembre 1972 (più di quarant’anni fa!), sospesa negli anni ’80 quando i lavori erano a circa il 55% del totale, ripresa nel 2007. Gli ultimi annunci prevedono che il reattore entri in funzione nel dicembre del 2015, con un costo finale superiore ai 4 miliardi di dollari.
In questo momento, oltre a Watt Bar 2, sono in costruzione ben 4 reattori in America, basati sul modello più recente di Westinghouse (l’AP1000), ma hanno già accumulato ritardi: i primi due di Vogtle, a due anni dall’avvio dei lavori, hanno accumulato 18 mesi[vii] di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Anche per gli altri due di Summer non ci sono novità confortanti: nella prima settimana di febbraio si è verificato un incidente di cantiere ed è stato lievemente danneggiato il contenitore in acciaio destinato a racchiudere il nocciolo (il cosiddetto vessel). E’ in corso una verifica dell’autorità per la sicurezza statunitense, ma la data consegna è già stata posticipata al 2018 (12 mesi dopo per il secondo reattore).
Altro cantiere storico è quello, trentennale, dei reattori Khmeltnitski-2 e 3 in Ucraina, avviati nel lontano 1985, la consegna era prevista per il 2016/2017, ma la crisi fra Russia e Ucraina potrebbe ritardare ancora i lavori poiché il completamento dei reattori è nelle mani della russa AtomStroyExport.
Anche i due reattori slovacchi di Mochovce hanno una lunga storia alle spalle, messi in cantiere nel 1987 sono ora nelle mani di Enel che spera di avviarli nel 2016/17. Anche se la società italiana spera prima di quella data di vendere la propria partecipazione di maggioranza nella società Slovenche elektrarne. Anche in questo caso i costi sono raddoppiati: per 880 MW di potenza totale, si spenderanno 4,6 miliardi di euro.
Dei reattori più moderni in costruzione, la cosiddetta terza generazione avanzata, oltre agli AP 1000 (4 in Cina e 4 negli USA), vi sono i 3 EPR di progettazione francese. Il primo, quello finlandese di Olkiluoto, è ormai un caso scuola (ma in senso negativo), essendo in costruzione da dieci anni; dovrebbe entrare in esercizio entro il 2018, nove anni più tardi della data originale di progetto. Il gemello in costruzione a Flamanville (Francia), naviga nelle stesse acque, al momento rispetto alla data pianificata del 2012, l’inaugurazione è prevista nel 2016. Sembra vada meglio per gli altri due modelli cantierizzati in Cina, ma anch’essi hanno accumulato due anni di ritardo.
Per quanto riguarda l’ABWR giapponese di Hitachi (con GE e Toshiba), dei due modelli in costruzione in Giappone non si hanno molte informazioni e nessuna previsione relativamente alla loro data di apertura è stata comunicata. A gennaio 2015 ancora nessun reattore giapponese è attivo, pertanto i ritardi saranno certamente rilevanti.
I russi portano avanti il loro VVER 1200 (AES-2006) che rappresenta l’evoluzione della famiglia VVER che conta una svariata serie di modelli nel corso della storia. Si tratta del modello di punta da 1.200 MW, il cui due sono in costruzione a Novovoronezhskiy, altri due a Sosnovyy Bor, un quinto è operativo a Sovetsk. Fuori casa due sono stati commissionati in Bielorussia a Ostrovets.
In sintesi, niente di nuovo sotto il sole: costi e tempi di realizzazione sempre in crescita e spesso fuori controllo; cantieri solo in mercati chiusi o grazie a sussidi e sostegni pubblici.
Ma che succede a Fukushima?
Sono passati 4 anni dall’incidente alla centrale nucleare di Fukushima. Innanzitutto va ricordato che ancora tutti e 48 i reattori giapponesi sono fermi e in questi anni il paese ha dovuto ricorrere a massicce importazioni di gas per produrre elettricità con un aggravio rilevante sulla bilancia commerciale. Nell’ottobre 2014 la municipalità di Satsumasendai ha dato il nulla osta al riavvio dei due reattori della centrale di Sendai, pertanto entro fine anno questi potrebbero tornare in funzione. E’ di febbraio 2015 la notizia di un ulteriore via libera per la centrale di Takahama.
Ma qual è la situazione nella centrale? Per chi l’avesse scordato a Fukushima il nocciolo dei tre reattori attivi è fuso (meltdown) e per il reattore numero 1 ha ceduto il contenitore (il vessel). Oggi i tre reattori continuano ad essere raffreddati attraverso l’impianto che inietta continuamente acqua: 360 tonnellate ogni giorno. L’acqua contaminata va trattata e questo spiega perché all’esterno si continuino a costruire serbatoi. Ma la gestione di questo enorme stoccaggio dell’acqua sta diventando una sfida sempre più impegnativa.
Parte dell’acqua dopo il trattamento viene riutilizzata, ma una parte finisce nel terreno e in mare perché a quattro anni dal disastro ancora non si è riusciti a bloccare le perdite, anche perché le radiazioni negli edifici dei tre reattori non permettono interventi umani. I contenitori primari dei reattori sono danneggiati e presentano falle da cui fuoriesce parte dell’acqua iniettata, che finisce nei basamenti degli edifici. A metà dello scorso anno si stimavano 90mila tonnellate nei basamenti e 500mila tonnellate la quantità totale di acqua contaminata stoccata nei depositi attorno alla centrale. Attualmente (marzo 2015) la capacità di stoccaggio è stata incrementata a 800mila tonnellate.
In tutta questa marea di “bidoni” piena d’acqua contaminata è intuibile che ogni tanto ci scappi qualche perdita; sono centinaia le tonnellate che sono fuoriuscite e sono finite nell’oceano. Per tentare di arginare il problema è stato studiato anche un sistema per congelare il terreno in modo da bloccare le perdite in mare; i primi tentativi vennero fatti nell’aprile 2014, ma senza successo. Si passò quindi al piano B che prevedeva di creare una sorta di diga di ghiaccio, utilizzando veri e propri blocchi di ghiaccio inseriti davanti ai tubi piantati per congelare il terreno. Ma questi lavori, svolti nell’agosto scorso, non riuscirono a creare una barriera a prova d’acqua. Un ulteriore raffinamento portò al piano C che prevedeva di riempire i buchi nella barriera di ghiaccio con malta e cemento. Ma il 17 novembre TEPCO dovette arrendersi perché l’edificio continuava a perdere acqua che continuava a infiltrarsi nella falda. Eccoci quindi al piano D, approvato dal Nuclear Regulation Authority, consistente nel tentativo di riempire la trincea con cemento pompando fuori l’acqua spostata (in teoria) dal cemento iniettato.
Ad oggi però l’acqua continua a fuoriuscire, il 17 febbraio 2015, il capo della Divisione sul ciclo del combustibile nucleare dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Juan Carlos Lentijo, ha ammesso che la situazione “resta molto complessa, visto l’aumento di accumulo di acqua contaminata che pone sfide di breve termine da risolvere in modo sostenibile”.
Oltre all’acqua, nei tre reattori, viene iniettato azoto per garantire una atmosfera inerte e impedire qualsiasi possibilità di ulteriori esplosioni di idrogeno (che avevano fatto saltare le coperture degli edifici). Anche il combustibile nucleare contenuto nelle piscine continua ad essere raffreddato, la rimozione di quello dell’unità 4 è iniziata nel mese di novembre del 2013 ed è terminata un anno dopo. Ora lo stesso lavoro andrà fatto per le piscine dei reattori 1, 2 e 3, ma non sarà facile per la contaminazione presente; quelli alla piscina del primo reattore inizieranno nel 2019.
Lo scorso anno, in agosto, la prefettura ha stabilito la costruzione di un deposito provvisorio al confine delle città di Futaba e Okuma. Questo deposito dovrà contenere per trent’anni il materiale contaminato per poi essere trasferito in un deposito definitivo, si tratta soprattutto dello strato superficiale del terreno che è state asportato per ridurre la contaminazione; tutta questa terra in attesa della costruzione del deposito inizierà ad essere trasportata nel sito proprio a partire dall’11 marzo 2015. A Futaba vivevano quasi 73mila delle 150mila persone evacuate. Dall’aprile 2014 sono iniziati i rientri ma non è stato quantificato il numero di coloro che sono ritornati e di quanti continuino a vivere fuori dall’area.
Il lavoro fatto in questi anni è stato enorme: sono 32mila le persone coinvolte, senza contare militari, poliziotti e vigili del fuoco; ancora oggi oltre quattromila lavorano ogni giorno sul sito e a gennaio 2015 purtroppo due sono morte in due differenti incidenti.
Immane è quanto ancora resta da fare nell’ambito del piano messo a punto dalla Tepco, l’azienda elettrica proprietaria degli impianti, che stimava quarant’anni di lavoro per sistemare i danni e la cui esecuzione risulta già in ritardo. La buona notizia è che per la prima volta dal 2011 il raccolto di riso della prefettura di Fukushima ha superato i test e pertanto potrà essere commercializzato.
Infine, uno sguardo in casa nostra
Nel nostro paese il problema è quello di smantellare le quattro vecchie centrali (e i centri di ricerca sul nucleare), e costruire un deposito per le scorie.
A questo proposito il 2 gennaio di quest’anno la Sogin (la società che gestisce il decomissioning in Italia) ha consegnato ad ISPRA la proposta di Carta delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) ad ospitare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico; entro inizio aprile (quindi fra meno di un mese), il Ministero dello Sviluppo Economico e quello dell’Ambiente dovranno dare il nulla osta per la sua pubblicazione, atto iniziale della fase di consultazione pubblica che, secondo i piani, dovrebbe culminare con un seminario nazionale.
I lavori di smantellamento dei reattori stanno però procedendo a rilento, l’11 novembre scorso, la Commissione Industria del Senato aveva ascoltato l’amministratore delegato della Sogin, Riccardo Casale, che aveva riferito sul doppio ridimensionamento del piano quadriennale varato dalla gestione precedente. Il primo ridimensionamento del piano aveva ridotto di circa 130 milioni di euro le attività di decommissioning previste nel periodo; il secondo aveva tagliato altri 120 milioni di euro (non stiamo parlando di risparmi ma di lavoro). Significa che la società gestirà lavori nel periodo 2014-2017 per 250 milioni di euro in meno di quanto previsto, contrariamente agli annunci di accelerazione che lo stesso Casale aveva fatto nell’agosto 2014.
Come ha scritto la Commissione: “la circostanza suscita allarme, perché lo stato di avanzamento di progetti pluriennali come quelli tipici della Sogin va monitorato con tempestività per evitare che le criticità, sempre possibili, si cristallizzino con il duplice effetto negativo di generare oneri ulteriori e imprevisti e di rallentare l’esecuzione delle opere”. Questo 2015 costituisce un anno importante nel difficile percorso di mettere in sicurezza i siti e procedere verso la realizzazione di un deposito sicuro dove mettere le scorie che attualmente abbiamo parcheggiato all’estero.
L’articolo completo con la bibliografia di Roberto Meregallo è disponibile in pdf (pubblicato anche su Energia Felice e www.martinbuber.eu)