Dieci anni dal disastro nucleare di Fukushima, un anniversario da non dimenticare

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Era l'11 marzo 2011, ore 6,46 italiane. Già poche ore dopo i nostri filo nuclearisti si affannavano a minimizzare un disastro che avrà invece conseguenze sanitarie ed economiche per i prossimi tre o quattro decenni.

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Venerdì 11 marzo di 10 anni fa, alle 6,46 ore italiane, avvenne il disastro nucleare di Fukushima.

Causato dal fortissimo terremoto e dallo tsunami conseguente, viene considerato il secondo più grave disastro nucleare dopo Chernobyl.

Subito dopo il terremoto i reattori si spensero automaticamente, con procedura SCRAM attivata dal sistema di sicurezza per allarme sismico. Lo tsunami distrusse poi i gruppi di generazione diesel-elettrici di emergenza che alimentavano i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3.

I reattori avrebbero comunque avuto bisogno di essere raffreddati per dissipare il calore generato dalle reazioni nucleari residue. L’interruzione dei sistemi di raffreddamento e di ogni fonte di alimentazione elettrica, nelle ore successive causò la perdita di controllo di tre reattori che erano attivi al momento del terremoto.

Nel corso delle ore e dei giorni successivi a causa del surriscaldamento dei noccioli dei reattori vi furono quattro distinte esplosioni, causate da bolle di idrogeno, alcune delle quali distrussero i tetti degli edifici di due reattori.

Edifici distrutti non per il terremoto, quindi, a cui avrebbero anche retto, ma per errori progettuali nel sistema ausiliario di emergenza predisposto dalla Tepco, la società che gestiva le centrali.

I noccioli di tutte e tre le unità coinvolte subirono la fusione completa nel corso dei giorni successivi.

Poche ore da quel disastro, quando in Italia alcuni personaggi del mondo dell’energia e atomica si affrettavano a declassare l’evento come qualcosa di poco conto, la pericolosità dell’accaduto emergeva da una nostra intervista a Giorgio Ferrari, esperto nucleare, allora in pensione, che aveva lavorato in Enel dal 1964 al 1987 nelle centrali atomiche italiane con la responsabilità di ispezionare il combustibile nucleare presente nei reattori di Latina, Garigliano Trino e Caorso.

Ferrari ci segnalò subito quello che poteva essere successo e che stava per avvenire: “Sembrerebbe che in uno dei due impianti, credo nel reattore numero 1 di Fukushima, ci sia stata una fusione del nocciolo. Bisognerà capire se questa fusione sia parziale o totale”, ci disse preoccupato.

Ferrari, lo ricordiamo, dopo Chernobyl chiese all’Enel di non occuparsi più di quelle sue mansioni. Una forma di obiezione di coscienza già maturata prima di quel grave incidente.

L’esperto concluse l’intervista dicendoci: “A chi gestisce queste tematiche chiedo la massima trasparenza. Questo è l’unico modo per decidere sempre in modo consapevole”.

Ma di trasparenza in questi 10 anni se ne avuta poca. I governi che si sono succeduti hanno sopravvalutato l’efficacia di un piano nazionale di decontaminazione rivelatosi di scarsissima efficacia, mentendo ripetutamente al popolo giapponese e ignorando i rischi radiologici.

I danni provocati nella centrale nucleare di Daichii dopo un decennio restano pesanti e lo saranno per i prossimi 30-40 anni.

Ci sono ancora almeno 35.000  sfollati a causa dell’incidente e, come risulta dalle ultime indagini di Greenpeace i livelli di radiazione nelle città di Iitate e Namie, nella prefettura di Fukushima, restano ancora elevati e in alcune aree sono superiori ai limiti di sicurezza.

L’85% degli 840 kmq della Special Decontamination Area (SDA), per cui il governo è responsabile della decontaminazione, è ancora contaminata da cesio radioattivo.

Secondo alcune stime serviranno oltre 76 miliardi di dollari per il decommissioning totale della centrale (oggi non ci si può avvicinare al nocciolo), ma il calcolo è troppo ottimistico secondo molti analisti.

“Fino al 2018 sono stati impiegati, ed esposti a rischi ingiustificati di radiazioni, decine di migliaia di lavoratori, la maggior parte dei quali subappaltatori mal pagati, come hanno mostrano le nostre indagini, per un programma di decontaminazione limitato e inefficace”, ricorda Greenpeace.

Sugli effetti sanitari del post-Fukushima, come scrisse nel 2015 Massimo Scalia, professore di Fisica Matematica all’Università La Sapienza di Roma, ambientalista ed esperto di nucleare, “le vittime delle radiazioni saranno nel corso degli anni molte di più di quelle del terremoto e dello tsunami (quasi 20mila, ndr). Gli effetti somatici della radioattività, cancri e leucemie, hanno un carattere statistico, sono tanto più estesi quanto maggiore è il numero delle persone esposte. È come un’arma che ruota sparando in mezzo alla folla, non si sa chi verrà colpito, ma le vittime ci saranno e saranno tante più quanto più numerosi sono i presenti”.

Aggiungendo amaramente che “quelle migliaia di vittime che farà la radioattività, ancora ogni anno sull’arco di almeno trent’anni, non le vedrà nessuno, né ci potranno mai emozionare come le immagini che ci riportavano i corpi senza vita travolti dalle onde dello tsunami”.

Sull’opportunità economica di investire ancora nel nucleare la realtà mondiale sta intanto fornendo un verdetto chiaro: un pozzo senza fondo, ovvero decidere di metterci dei soldi è il primo passo verso il fallimento.

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