Smog a Shanghai, Cina sempre più stufa del carbone

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Con Shangai in ginocchio per smog la Cina è sempre più consapevole della necessità di attenuare la sua dipendenza dal carbone: troppi e troppo evidenti i danni che sta causando, anche a prescindere dalla questione clima. Meglio le rinnovabili: 33 GW di nuova potenza installata nei primi 10 mesi del 2013 con il fotovoltaico triplicato in due anni.

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Oggi la situazione è migliorata, ma ieri a Shanghai è stato il settimo giorno di coprifuoco da smog. L’indice di qualità dell’aria, dopo aver raggiunto sabato il livello record di 482, era ancora al di sopra della soglia di sicurezza di 200. La concentrazione di polveri sottili PM2.5 ieri mattina era oltre i 360 microgrammi per metro cubo, cioè più di 14 volte l’esposizione massima ammissibile secondo l’OMS. A vecchi e bambini nella metropoli cinese è stato raccomandato di rimanere in casa, mentre nei giorni scorsi ci sono stati blocchi del traffico e addirittura voli aerei cancellati causa smog.

La Cina è sempre più consapevole della necessità di attenuare la sua dipendenza dal carbone, il più sporco tra i combustibili fossili: troppi e troppo evidenti sono i danni che sta causando, anche volendo prescindere dalla questione climatica. Un messaggio che è arrivato anche nel mondo della finanza: la crisi da smog di Shanghai, riporta Bloomberg, ha visto calare nettamente il valore delle azioni di chi fa carbone e salire quelle di chi ha a che fare con il contenimento delle emissioni.

Ad esempio Shenhua Energy, il più grande produttore di carbone cinese, ieri ha visto continuare il declino del valore dei suoi titoli, meno 0,5% (cui segue un meno 0,9% oggi), mentre le azioni di Fujian Longking, che offre filtri e altre soluzioni per contenere le emissioni, sono cresciute dello e 0,8% e quelle di Yonker Environmental Protection, altra azienda del settore hanno fatto un salto in alto del 4,9%.

Oltre a creare danni ambientali e sanitari immensi (secondo uno studio Greenpeace, nel 2007 le esternalità negative del carbone sono costate il 7% del Pil, cioè circa 365 miliardi di euro), l’inquinamento atmosferico sta diventando una tra le principali cause di protesta in Cina.

La primavera scorsa il premier Li Keqiang ha lanciato un piano per ridurre emissioni e uso del carbone soprattutto nelle aree più inquinate: nelle zone più industrializzate del nord, tra la capitale, Hebei e Tianjin una riduzione da 100 milioni di tonnellate entro il 2015, poco meno di un terzo dei consumi dell’area interessata.

Insomma la Cina è costretta a provare a disintossicarsi da questo combustibile, dal quale è (e probabilmente resterà ancora a lungo) fortemente dipendente. Il colosso asiatico conta sul carbone per circa il 70% del suo fabbisogno elettrico e ne brucia circa 3,8 miliardi di tonnellate l’anno (dato 2011), cioè quanto se ne bruciava in tutto il resto del mondo nel 2000 (fonte: U.S. Energy Information Administration) e circa la metà della domanda mondiale attuale.

Tutto ciò non potrà che comportare un’accelerazione, oltre che sul gas e sul nucleare, sulle rinnovabili. Negli ultimi tempi abbiamo visto gli obiettivi su eolico e fotovoltaico rivisti periodicamente al rialzo e le installazioni stanno procendedo a ritmi impressionanti. Nei primi 10 mesi del 2013 – dicono dati Bloomberg New Energy Finance – la Cina ha aggiunto 36 GW di potenza low-carbon: 7,9 GW di eolico, 3,6 GW di fotovoltaico 2,2 di nucleare e il resto da idroelettrico.

La potenza fotovoltaica totale installata dovrebbe raggiungere entro fine anno i 10 GW, triplicandosi dal 2012. La quota del carbone nel mix elettrico è già scesa dal 71,5% della domanda dell’anno scorso al 69,6%. Se Pechino continua il suo sforzo – e visto quel che sta succedendo è probabile che lo intensifichi – la quota, prevede BNEF, dovrebbe scendere al 58% entro il 2030.

 

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