Domanda carbone stabile, e chi vorrebbe se ne consumasse di più

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L’Italia importerà 19 milioni di tonnellate di carbone nel 2013, dato stabile rispetto allo scorso anno. Secondo Andrea Clavarino, presidente di Assocarboni e delegato del Governo Italiano al Coal Industry Advisory Board IEA, il nostro Paese dovrebbe consumare più carbone per ridurre il caro energia. Una tesi a dir poco discutibile.

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In Europa quest’anno è previsto un aumento delle importazioni di carbone di circa il 5% rispetto al 2012. L’Italia invece nel 2013 ne importerà 19 milioni di tonnellate, dato stabile rispetto allo scorso anno. La maggior parte proviene via mare da Stati Uniti, Sud Africa e Indonesia, Paesi che contribuiscono all’80% delle importazioni di carbone da vapore in Italia.

Sono alcuni dei dati resi noti da Andrea Clavarino, Presidente di Assocarboni, nel corso della riunione plenaria del Coal Industry Advisory Board/IEA 2013, tenutasi ieri a Parigi (in allegato in basso la nota).

Un incontro che è stato occasione di esternazioni sulla politica energetica nazionale ed europea: “Se l’Italia continuerà ad ignorare il contributo del carbone alla produzione di elettricità a prezzi competitivi, il suo tessuto industriale presto sarà a rischio”, ha dichiarato Clavarino, che è delegato del Governo italiano al consiglio del CIAB, l’organo consultivo sul carbone dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. “Le imprese italiane sono costrette a far fronte a prezzi del 50% più alti rispetto alla media europea, dal momento che il Paese dipende per oltre il 70% del suo fabbisogno energetico da gas naturale e da fonti rinnovabili”, ha aggiunto.

La ricetta di Assocarboni: “Meno gas naturale, costoso e con significative implicazioni in termini di sicurezza energetica e approvvigionamenti, e più carbone insieme alle fonti rinnovabilli”. Si auspica che si realizzino presto i tre progetti di conversione di centrali, da olio a carbone, in attesa di autorizzazione (Porto Tolle, Vado Ligure e Saline Joniche), che porterebbero la quota del carbone nel mix energetico nazionale dall’attuale 12% al 16%.

Nel 2013 – ricorda Assocarboni – sarà il prezzo competitivo del carbone a permettere ai principali produttori europei di energia di mantenere in attivo i bilanci, compensando gli alti costi delle loro centrali elettriche alimentate a gas.

Se questo è vero, è invece falso che il carbone possa risolvere il problema del caro energia per consumatori e aziende: se così fosse, in Italia avremmo già beneficiato di una riduzione in bolletta, dato che la sua quota sulla produzione di energia termoelettrica da fossili in questi ultimi anni è aumentata, passando dal 17% del 2008 al 22% del 2012. In realtà, essendo il prezzo dell’elettricità in Borsa fissato sul prezzo dell’offerta più cara, anziché abbassare i prezzi, in questi anni il carbone, decisamente meno caro del gas, ha goduto della situazione giovando più che altro appunto ai bilanci delle utility.

Che poi le fossili portino sicurezza energetica, oltre a essere intuitivamente contraddittorio, è facile da smentire. Gli incrementi consistenti che abbiamo avuto in bolletta in questi anni sono infatti legati, più che al peso accresciuto degli oneri di sistema, all’aumento della componente energia, che dipende essenzialmente dal costo del petrolio ed è aumentata dal 2002 al 2012 del 177% (a fronte di un incremento del totale in bolletta del 53%, vedi dossier Legambiente).“L’alta dipendenza dell’Italia dai combustibili fossili, che soddisfano l’82% della domanda interna, uno dei valori più alti in Europa, ha rappresentato il primo driver dell’aumento dei prezzi energetici negli ultimi anni: tra il 2000 e il 2012 i prezzi del petrolio sono aumentati di oltre il 200% (triplicati), quelli del carbone del 160% e del gas sul mercato europeo di circa il 300%”, ricorda un dossier della Fondazione Sviluppo Sostenibile.

La nota di Assocarboni prosegue, criticando la Commissione Europea che “continua a sottovalutare il ruolo e il contributo del carbone per prezzi competitivi dell’elettricità e a considerare gas e fonti rinnovabili come le migliori opzioni per il mix energetico”. Peccato che il carbone sia relativamente economico solo perché scarica sulla collettività gli enormi costi ambientali e sanitari.

Stando a uno studio realizzato dall’Università di Stoccarda e pubblicato alcuni mesi fa, questa fonte in Europa causa 22.300 morti premature all’anno e fa spendere ai governi miliardi di euro in cure sanitarie e giorni di lavoro persi. In Italia nel 2010 il carbone ha causato 521 morti, ha ‘sottratto’ 5.560 anni di vita e fatto perdere 117mila giorni di lavoro. Se si realizzassero le 50 nuove centrali che si vorrebbero costruire nel vecchio continente, si aggiungerebbero al conto 2.700 morti premature e si taglierebbero 32mila anni di vita l’anno.

Concetto rimarcato da Andrea Boraschi, responsabile Clima ed Energia di Greenpeace, che interpellato commenta: “Le ricerche realizzate per conto di Greenpeace da un centro di ricerca indipendente olandese, SOMO – ricerche che applicano una metodologia dell’UE alle emissioni dichiarate dalle stesse aziende proprietarie degli impianti a carbone – stimano in 2,5 miliardi di euro le esternalità che vengono al nostro Paese, su base annua, dal consumo della fonte più sporca e nociva per il clima. Il giorno in cui le aziende del termoelettrico che investono sul carbone cominciassero a rifondere questi danni, o il giorno in cui si avesse un sistema ETS efficiente, la convenienza di questa fonte obsoleta svanirebbe di colpo”.

Assocarboni non è preoccupata di questo? Dal comunicato non sembra. Si rassicurano, affermando che il carbone “rimarrà la fonte di energia in più rapida crescita ancora per molto tempo: secondo l’IEA, la sua domanda aumenterà più velocemente di quella del gas naturale, ad un tasso del 2,6% annuo da qui al 2018”. La citazione è presa dal World Energy Outlook 2013, fresco di pubblicazione, del quale si omette però la parte in cui anche la conservatrice IEA ammette che nei paesi OCSE il carbone avrà vita dura a causa degli impatti ambientali che comporta: la domanda calerà di un quarto da qui al 2035 e solo l’appetito dei paesi emergenti consentirà una crescita in termini assoluti, che comunque è un calo in termini relativi.

“La forza trainante alla base dell’aumento del consumo mondiale di carbone è il settore energetico in Cina, India e altri paesi non OCSE, soprattutto nel Sud-Est asiatico”, ricorda infatti giustamente Assocarboni, senza però dire che anche in questi paesi ci si è accorti dei costi ambientali e sanitari del carbone e si sta cercando di frenare. “E’ davvero curioso – commenta Boraschi – che, parlando della Cina, omettano come proprio in questi mesi, in molte regioni del nord di quel Paese, sono stati definiti precisi piani di riduzione dell’uso del carbone come strategia principale di abbattimento dell’inquinamento. La provincia di Shandong, che è quella con i livelli massimi di combustione di questa fonte, ha previsto una riduzione delle concentrazioni atmosferiche di PM2.5 del 20% al 2017 e per conseguire questo obiettivo ha annunciato di voler tagliare l’uso del carbone di 20 milioni di tonnellate”.

La nota di Assocarboni (pdf)

 

 

 

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