Solare termodinamico, un boom atteso

Tra le tecnologie del settore delle rinnovabili è la fonte con più potenzialità di crescita a livello mondiale: può arrivare a fornire il 25% di elettrictà. Anche nel nostro paese potrebbe avere un ruolo interessante, soprattutto nell'ambito della filiera industriale. Ne parliamo con Cesare Fera, presidente di Anest.

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Il solare termodinamico a concentrazione – quello che sfrutta il calore del sole convogliato da specchi o lenti per far muovere con il vapore delle turbine che producono elettricità – ha il potenziale teorico per soddisfare 1.800 volte il fabbisogno energetico mondiale e tra le rinnovabili è senz’altro quella che ha più strada da fare.
Oggi la potenza installata nel mondo di questa fonte è di circa 1 gigawatt. Secondo gli scenari per la decarbonizzazione dell’energia come quelli proposti da Greenpeace al 2050 ci dovranno essere dai 1.000 ai 1.500 GW installati . E se nella “rivoluzione” energetica indicata da Greenpeace il solare termodinamico fornirà nel 2050 un quarto dell’elettricità mondiale (Qualenergia.it, Il futuro boom del solare termodinamico), anche per l’International Energy Agency questa tencologia avrà un ruolo fondamentale, coprendo l’11% del fabbisogno elettrico.

Sono alcuni dei dati citati nel corso di un incontro Zeroemission Roma 2010. Che sia lecito aspettarsi molto da questa tecnologia lo mostrano i grandi progetti che si stanno portando avanti e di cui si è parlato nella conferenza: dall’iniziativa Desertec per sfruttare il sole dei deserti nordafricani (Qualenergia.it, Desertec, elettricità solare in Europa già tra 5 anni) ai molti impianti impianti che stanno nascendo nel Sud-ovest degli Usa e in Cina. In Europa è la Spagna il paese leader del settore grazie alla buona insolazione, agli incentivi e a un programma ricerca iniziato negli anni ’70: il piano nazionale per le rinnovabili iberico parla di oltre 5 GW installati nel paese al 2020 (ma già adesso ci sarebbero in richieste di connessione per almeno 15 GW). Assieme a Francia, Portogallo e Grecia, anche l’Italia è tra i paesi europei in cui il solare a concentrazione avrà un suo ruolo: sono 600 i megawatt di potenza solare termodinamica che il piano nazionale italiano per le rinnovabili prevede che saranno installati entro il 2020. A margine della conferenza ne abbiamo parlato con Cesare Fera, presidente di Anest, l’associazione italiana del solare termodinamico.

Dai dati emersi nel convegno si capisce che il solare a concentrazione sembra avere grandi potenzialità …
Sono enormi. Si parla di ottenere entro il 2050 dal 12 al 25% dell’energia mondiale con il solare termodinamico a concentrazione. Energia che verrà principalmente da posti come gli Stati Uniti e il Nord Africa, mentre a livello Europeo solo Italia e Spagna hanno possibilità di produrre quantità importanti.

Che ruolo potrà avere nel mix energetico del nostro paese?
Per l’Italia è molto importante arrivare ad alcune migliaia di megawatt; non serve farne centinaia di migliaia. Basta realizzare impianti a sufficienza in modo che il paese sviluppi una propria tecnologia da poter vendere all’estero: in India, piuttosto che in Cina o in Nord Africa.

Che vantaggi può dare il solare a concentrazione nel mix elettrico?
Il grande vantaggio è che questa fonte si può regolare. Può fornire più o meno energia a seconda del fabbisogno. Questo risolverebbe anche i problemi di sovraccarico della rete che implica l’uso massiccio di altre rinnovabili come l’eolico, che a volte producono troppa energia rispetto alla capacità della rete e dunque devono essere staccate.

Quali sono le criticità e gli aspetti da migliorare in questa tecnologia?
L’aspetto fondamentale è far scendere i costi che oggi sono alti. Attualmente siamo sui livelli del fotovoltaico, ma si prevede che dagli attuali 23-27 centesimi a chilowattora si possa arrivare a 10, un costo competitivo con le fonti convenzionali.

Affinché ciò accada è necessario che la tecnologia si diffonda su larga scala e che si investa in ricerca. Servirebbe dunque appoggio politico: com’ è la situazione in Italia da questo punto di vista?
La volontà politica è fondamentale. Un appoggio a questa tecnologia, per quanto timido, nel nostro paese c’è stato: penso ai bandi del programma ‘Industria 2015’ che hanno finanziato tecnologia e ricerca; c’è stata poi l’introduzione della tariffa incentivante fissa di 28 centesimi a kWh per reallizzare impianti fino a 200 MW. Si sta dunque muovendo qualcosa.

Potrebbe dunque diventare un settore chiave delle rinnovabili italiane, con relative ricadute economiche?
Le ricadute economiche legate all’indotto sarebbero molto maggiori rispetto a quanto avviene per altre rinnovabili come fotovoltaico dove le tecnologie usate in Italia sono prevalentemente di importazione: come nel caso dei moduli fotovoltaici tedeschi o cinesi. Sul fotovoltaico o sull’eolico l’Italia ha accumulato un ritardo tecnologico difficile da recuperare. Al contrario nel solare a concentrazione trattandosi di una tecnologia piuttosto giovane abbiamo la possibilità di creare un nostro know how da esportare.

L’Italia è tra l’altro uno dei paesi con la storia più lunga in quanto a ricerca sul solare termodinamico.
Siamo partiti molto bene già nel ’73 con Giovanni Francia che costrui un impianto in Liguria sulla collina di Sant’Ilario. Poi ci fu la centrale di Adrano, nel 1980. Sono seguiti 20 anni in cui si è fatto poco o niente finché qualche anno fa Rubbia ha ripreso in mano questa tecnologia e da li si è recuperato il tempo perduto.

E a livello industriale a che punto è il comparto del solare termodinamico italiano?
La nostra associazione raccoglie una ventina d’imprese attive lungo tutta la filiera di questa tecnologia: chi fa i tubi, chi gli specchi, chi le regolazioni e così via. Da parte delle imprese c’è una grande volontà di partire, meno interesse si nota da parte della nostra classe politica.

 

 

 

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