CCS, tanto denaro ma pochi risultati

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Un report IEA fa il punto della situazione sulla CCS nel mondo: nonostante 26 mld di dollari in 2 anni di finanziamenti pubblici sono solo 5 i progetti attivi. Servono altre risorse e misure politiche per far decollare questa tecnologia, ancora troppo costosa e poco sperimentata. Il rischio è di sottrarre risorse ad altre opzioni più efficaci e già disponibili, come efficienza e rinnovabili.

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La cattura della CO2 con stoccaggio geologico dell’anidride carbonica, la cosidetta Ccs, stenta divenire realtà nonostante i generosi investimenti pubblici. È quel che emerge dall’ultimo rapporto in materia realizzato dall’International Energy Agency (IEA) e dal Carbon Sequestration Leadership Forum (vedi allegato).

Negli ultimi due anni – vi si legge – i vari governi hanno infatti speso oltre 26 miliardi di dollari per finanziare progetti di cattura e sequestro del gas serra, ma questo non è bastato a raggiungere l’obiettivo stabilito nel 2008 al G8 di Hokkaido, avere almeno 20 progetti dimostrativi di Ccs su larga scala entro il 2010.

Degli 80 progetti di Ccs censiti nel mondo attualmente solo 5 sono operativi, spiega il rapporto: Sleipner e Snøhvit in Norvegia e In Salah in Algeria che stoccano la CO2 proveniente da impianti di produzione del gas naturale in acquiferi salini, Rangely (Wyoming) e Weyburn Midale (North Dakota), dove la CO2, proveniente rispettivamente da un impianto di produzione del gas naturale e da un impianto di gassificazione del carbone, viene impiegata per l’enhanced oil recovery, ossia per estrarre più facilmente petrolio.

La previsione basata sugli annunci dei governi è che entro il 2020 siano attivi dai 19 ai 43 impianti capaci di sequestrare e stoccare la CO2. In prima linea il Canada, con un obiettivo di 6 progetti, segue l’Australia, tra 3 e 5; gli USA, tra 5 e 10 e il Regno Unito con 5. In Europa saranno da 6 a 12 i progetti operativi a quella data.

Cosa manca alla Ccs per diventare realtà? L’ostacolo maggiore è di natura economica. Nonostante i finanziamenti pubblici il “financial gap” – la differenza tra quello che c’è e quello che servirebbe – “negli ultimi due anni è cresciuto soprattutto per via della continua incertezza nelle future misure sul cambiamento climatico e per la mancanza di segnali adeguati sul prezzo della CO2”.

Per avere un futuro la Ccs avrebbe bisogno di ulteriori investimenti tra i 5 e i 6,5 miliardi di dollari all’anno – si spiega nel report – e servirebbe che fosse ammessa come intervento finanziabile tramite il Clean Development Mechanisms (CDM), il meccanismo internazionale di compensazione delle emissioni. Cosa che – aggiungiamo noi – andrebbe a scapito di interventi e investimenti in altre tecnologie, come quelle in efficienza e rinnovabili, meno costose, più efficaci, con meno controindicazioni e soprattutto già applicabili.

Quindi anche dal report di International Energy Agency e Carbon Sequestration Leadership Forum – certo non tra i più critici nei confronti di questa tecnologia – emerge come la Ccs sia una soluzione per il problema climatico ancora tutt’altro che a portata di mano. I molti handicap della cattura, d’altra parte, sono stati raccontati spesso su queste pagine.

I costi innanzitutto: diversi gli studi pubblicati nell’ultimo anno che evidenziano come la Ccs sia ancora altamente antieconomica. “The Realistic Costs of Carbon Capture” del Belfer Center di Harvard (Qualenergia.it, Il prezzo della cattura ), ad esempio, stima che sequestrare una tonnellata di CO2 costerà dai 120 ai 180 dollari: l’elettricità prodotta da eventuali centrali dotate di tecnologia Ccs costerebbe più del doppio rispetto al normale.

Altre ancora poi sono le incognite e i punti deboli, come il maggior consumo di combustibili che questa tecnologia comporta: a parità di energia prodotta per una centrale con Ccs si stima rispettivamente dal 20 al 40% in più di combustibile e il 90% in più di acqua.

C’è poi il dubbio che ci siano abbastanza cavità adatte a stoccare la CO2 in maniera sicura. Se avvenissero perdite anche solo dell’1% nei depositi – sostiene Greenpeace in un report di cui abbiamo parlato su Qualenergia.it – gli effetti positivi sul clima verrebbero vanificati. E nel mondo ci sono già comunità locali in mobilitazione contro progetti di stoccaggio della CO2 (Qualenergia.it, CO2, se il sequestro fa paura) .

Ma la controindicazione principale di questa tecnologia, che pure teoricamente potrebbe fare molto per il clima, è che non è applicabile su larga scala da subito, mentre le emissioni vanno ridotte immediatamente. Contare eccessivamente sulla Ccs potrebbe così rivelarsi controproducente per stabilizzare la temperatura, con la beffa che si rischierebbe di sottrarre risorse alle altre soluzioni low-carbon. Oggi purtroppo la Ccs è spesso un alibi per continuare a costruire nuove centrali inquinanti, come quelle a carbone.

 

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