Il verde Obama, cento giorni dopo

  • 5 Maggio 2009

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Passati i cento giorni di mandato, Obama mantiene ancora accese le speranze. Le decisioni "verdi" già prese sono diverse, ma i suoi sforzi devono scontrarsi anche con il Congresso. E' il caso della legge sulle emissioni che probabilmente non sarà pronta in tempo per dicembre a Copenhagen.

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La scorsa settimana il primo presidente Usa a riconoscere l’urgenza di combattere il cambiamento climatico ha superato i 100 giorni di mandato. Barack Obama è stato eletto con un programma molto coraggioso rispetto ai suoi predecessori, anche democratici, riguardo a tutela dell’ambiente e lotta alle emissioni, e il suo arrivo alla Casa Bianca è forse la notizia che quest’anno ha acceso più speranze a livello mondiale per la lotta al global warming. Speranze sul cui fuoco il neopresidente ha soffiato fin dal suo discorso d’insediamento, ribadendo di continuo il suo impegno nella lotta alle emissioni climalteranti e per le energie rinnovabili.

Cento giorni sono ancora pochi per giudicare se le speranze erano ben riposte, certo, ma con la l’occasione arrivano necessariamente i primi bilanci. E anche senza contare il grande impegno comunicativo sul tema e le scelte d’immagine come l’orto biologico a chilometri zero dietro la dimora presidenziale, non si può dire che Obama sia stato con le mani in mano. Il Climate Bill, la legge anti emissioni, che deve passare per il Congresso, con ogni probabilità non arriverà prima di fine anno; qualche sopracciglia aggrottata tra gli ambientalisti l’ha causata l’atteggiamento pro-etanolo da mais del nuovo presidente (concretizzatosi soprattutto con la nomina del Segretario all’agricoltura, Tom Vilsack), ma nel complesso si può dire che molte promesse Obama ha iniziato a mantenerle.

Già prima di entrare alla Casa Bianca, il 16 dicembre, erano state le nomine agli incarichi verdi fatte dal neopresidente a rinfrancare gli ambientalisti. Nel “green dream team” di Obama spiccano nomi in prima linea nella lotta al global warming: Carol Browner – nominata coordinatrice per le politiche energetiche e ambientali (posizione nuova) – è stata membro dello staff di Al Gore quando questi era al Senato e capo dell’Envirnomnetal Protection Agency ai tempi di Clinton (scontrandosi con i suoi stessi compagni di partito perché voleva leggi più severe per la tutela della qualità dell’aria); il nuovo capo dell’EPA, Lisa Brown, è la donna che per prima ha introdotto un sistema di cap and trade sulle emissioni quando era governatrice del New Jersey; mentre al Department of Energy va il nobel per la fisica Steve Chu, direttore del Lawrence Berkeley Lab, dove ha passato gli ultimi anni a coordinare la ricerca su efficienza energetica, accumulo dell’energia e fonti alternative.

Il 20 gennaio, poche ore dopo aver giurato, Obama inizia con l’ordinare la revoca di alcuni decreti dell’ultimo minuto di George W. Bush, le cosidette “midnight regulations”, colpi di coda tradizionali dei presidenti uscenti americani .Tra queste una che avrebbe permesso alle industrie di bruciare con meno restrizioni rifiuti pericolosi e altre che aprivano territori allo sfruttamento degli scisti bituminosi e toglievano restrizioni a pratiche inquinanti nell’estrazione del carbone.

Il 26 dello stesso mese il neopresidente ordina all’EPA di riconsiderare il rifiuto, opposto ai tempi di Bush, a concedere alla California e agli altri Stati “ambientalisti” il permesso di imporre limiti più stringenti per le emissioni delle auto. Nello stesso tempo impone al Dipartimento dei Trasporti di porre standard minimi di efficienza più severi per i veicoli in produzione dal 2011: arrivano a marzo e sono di 27,3 miglia per gallone (circa 11,6 km al litro).

È poi soprattutto nel pacchetto stimolo di febbraio che Obama indica chiaramente di voler scegliere la strada della transizione al low carbon per far uscire il paese dalla crisi: la componente verde della misura è forte, circa 100 miliardi di dollari a efficienza energetica, rinnovabili, trasporti sostenibili e rinnovo della rete elettrica. Nel suo primo documento di programmazione economica, il budget, presentato ai primi di marzo, Obama aggiunge altri 15 miliardi per rinnovabili, efficienza e ferrovie,  oltre a tagliare alcuni sussidi alle fonti sporche; ma soprattutto dimostra la serietà di intenzioni sulla lotta alle emissioni inserendo nel documento il sistema cap and trade, che però il Senato si rifiuta di approvare per questa via e che dunque sarà legge solo con il Climate Bill.

Il 17 aprile l’EPA diretta da Lisa Jackson, dichiara formalmente che la CO2 e altri 5 gas serra sono dannosi per la salute umana. È un primo passo molto importante verso norme più severe sulle emissioni che, se non arriveranno tramite la legge che si attende dal Congresso, potrà dettare l’EPA stessa, che sta già provvedendo a redigere una sorta di inventario dei grandi emettitori.

Sul piano dei negoziati internazionali sul clima, infine, il nuovo governo Usa ha lanciato segnali di apertura fin dall’inizio. L’ultimo in ordine di tempo è il mea culpa in cui al meeting delle 17 economie più inquinanti, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha ammesso per la prima volta la maggiore responsabilità degli Usa rispetto ai paesi in via di sviluppo per l’effetto serra.

Insomma i primi 100 giorni del nuovo presidente per ora non paiono spegnere le speranze. Quello che potrebbe smorzare in parte gli effetti degli sforzi di Obama, anche sul piano internazionale, sono le resistenze che incontra e incontrerà negli Usa e nelle istituzioni americane, in primo luogo nel Congresso. Un grande peso negativo sui negoziati di dicembre a Copenhagen ad esempio lo avrà il fatto che, molto probabilmente, gli Usa vi si presenteranno senza aver ancora approvato il Climate Bill, la legge che dovrà regolare le emissioni.

GM

5 maggio 2009
 
 

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