Se il CDM non è così pulito

  • 30 Maggio 2008

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Uno studio della Stanford University critica il Clean Development Mechanism visto che consentirebbe il finanziamento di progetti che sarebbero stati realizzati comunque, inficiando così parzialmente la riduzione delle emissioni.

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Il Clean Development Mechanism è un sistema previsto dal Protocollo di Kyoto che permette alle imprese dei paesi industrializzati che sforano i limiti di emissioni concessi di compensarli, realizzando progetti che riducano i gas serra in paesi in via di sviluppo, esenti da vincoli di emissione. Un mercato, quello dei progetti CDM, che sta crescendo molto velocemente: al momento vale 20 miliardi di dollari all’anno e si prevede diventino 100 entro quattro anni. Oltre 1000 progetti sono stati approvati finora e altri 2000 sono in fase di verifica.

Ma quanto riescono a ridurre le emissioni globali nella realtà dei fatti i progetti legati ai CDM? Gruppi ambientalisti e studi universitari sollevano da tempo dubbi sull’efficacia del sistema; il meccanismo secondo alcuni sarebbe abusato dalle industrie finanziatrici, che ottengono permessi di emettere gas serra in cambio di progetti che non avrebbero i criteri per essere approvati.

L’ultima accusa viene da uno studio condotto da due professori della Stanford University, David Viktor e Michael Wara. I due hanno esaminato 3.000 progetti tra quelli che hanno fatto richiesta dei crediti e quelli che se li sono aggiudicati per i prossimi quattro anni. Iniziative per un investimento complessivo di 10 miliardi di dollari che però, secondo gli studiosi, per la maggior parte, come detto, non hanno i requisiti per accedere ai crediti del CDM.

La pecca rilevata nella maggior parte dei progetti è il mancato rispetto del principio di addizionalità: le riduzioni di emissione del CDM – secondo quanto stabilito dal Protocollo di Kyoto – dovrebbero essere aggiuntive a quelle che si avrebbero in assenza dell’attività di progetto certificata. I crediti del CDM sono dunque riservati a progetti che non avrebbero potuto essere realizzati senza l’investimento dell’industria che vuole compensare le proprie emissioni, ma invece – dichiara al Guardian David Victor – molti progetti approvati “sarebbero stati realizzati comunque e sembra che tra uno e due terzi di tutti i progetti CDM non vi siano tagli effettivi delle emissioni”.

Il problema è che il rispetto del principio di addizionalità nella pratica è molto difficile da provare. Lo studio della Stanford University ha rilevato, ad esempio, che quasi tutti i nuovi impianti idroelettrici, eolici o a gas naturale che saranno realizzati in Cina nei prossimi anni hanno fatto richiesta per essere ammessi nel CDM, anche se il governo cinese già promuove questi tipi di impianti. Un altro studio dell’associazione americana International Rivers sostiene che circa tre quarti dei progetti registrati nel CDM erano già realizzati quando hanno ottenuto l’approvazione: i soldi del CDM dunque non paiono essere stati strettamente necessari ai fini della realizzazioni di questi porgetti.

Una critica, quella sulla verifica del criterio di addizionalità, già fatta anche dal WWF e dall’Öko Insitute in uno studio di cui avevamo parlato su Qualenergia.it a dicembre. L’indagine aveva rilevato come l’addizionalità dei progetti CDM degli ultimi 3 anni nel 40% dei casi apparisse improbabile o quantomeno dubbia.

“Il tema dell’addizionalità è stato uno dei più dibattuti dall’avvio del CDM” – ci spiega Roberto Giacomelli Senior Consultant di ERM Italia, società italiana del gruppo ERM, leader mondiale nella consulenza ambientale. Giacomelli concorda sul fatto che le valutazioni, che pure sono elaborate da enti terzi e poi riviste dalle Nazioni Unite, siano fatte con “flessibilità”, ma – sottolinea – ciò è la conseguenza di criteri molto stretti nel definire l’addizionalità: “la critica mossa non tiene conto del fatto che un’applicazione rigida di questi criteri non avrebbe nella pratica consentito l’avvio di questo sistema che nel complesso giudico molto positivo”.

La validità complessiva del Clean Development Mechanism in quanto tale, d’altra parte, non è messa in dubbio nemmeno dalle associazioni che hanno mosso le critiche, come il WWF. Commenta Matteo Leonardi, responsabile energia del WWF Italia: “Il CDM è uno strumento molto valido nella lotta alle emissioni, ma è importante che sia visto come “technology transfert” nei confronti di paesi in via di sviluppo e non come sostitutivo di altri sforzi. A questo proposito il ricorso al CDM dovrebbe essere qualcosa che va ad aggiungersi agli obiettivi interni di riduzione delle emissioni dei paesi finanziatori e non un sistema per ovviare al non raggiungimento di tali obiettivi”.

GM

30 maggio 2008

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