Proprio il paese del sol levante, infatti, sarà tra i destinatari principali del biocarburante carioca: sempre la settimana scorsa Petrobas ha creato con Mitsui una società alla pari, Participacoes Nippo Brasileira em Complexos Bioenergeticos, che nasce proprio per esportare il biocarburante in Giappone. E la compagnia a partecipazione statale non è l’unica a voler realizzare etanolodotti: alcuni tra i maggiori operatori del settore, Cosan, Copersucar e Crystalsev, preoccupati di non lasciare a Petrobras il monopolio sulle infrastrutture si sono associati per costruire un’altra conduttura che andrà da Paulinia, nello Stato di Sao Paolo alla costa.
“Il protocollo che abbiamo firmato ha un valore straordinario e ci offre un grande potenziale: da Paranaguá potremo inviare etanolo in tutto il mondo” ha dichiarato il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, annunciando l’avvio degli studi di fattibilità per la costruzione del condotto della Petrobras.
Il Brasile, che al momento è il secondo produttore mondiale di biocarburanti, con 22 miliardi di litri l’anno, si sta dunque preparando a inondare di biocarburanti il resto del mondo. Lo provano, oltre alla costruzione degli etanolodotti, le pressioni a livello internazionale affinché vengano rimosse le barriere agli scambi, come quelle fatte dal paese latinoamericano all’ultimo G8+5 tenutosi a febbraio proprio in Brasile.
Secondo Lula “nonostante si incontrino nel mondo alcune resistenze a utilizzare un prodotto nuovo come l’etanolo, la crescita del prezzo del petrolio sul mercato mondiale e i doveri imposti dal Protocollo di Kyoto spingeranno tutti a usare il nuovo combustibile”. Una tendenza che, si prevede, sarà rafforzata dal proposito dell’Unione Europea di introdurre entro il 2020 l’obbligo di miscelare la benzina con il 10% di etanolo. Se poi i biocarburanti, con i loro non trascurabili effetti collaterali ambientali (e sociali), contribuiscano effettivamente alla lotta al global warming è una questione tutt’altro che risolta.
28 marzo 2008