Le stime variano a seconda delle ricerche, ma non di moltissimo: si può quindi affermare con ragionevole approssimazione che i videogiochi, o più precisamente le consolle e i computer usati per giocarvi, consumano grossomodo fra 75 e 80 miliardi di kWh l’anno nel mondo – tanti quanti ne producono 25 centrali da 500 MW ciascuna.
Consumi diretti cui vanno aggiunti quelli indiretti legati alle estrazioni minerarie, alle trasformazioni industriali, ai trasporti internazionali e allo smaltimento dei prodotti elettronici.
È per questo, sullo sfondo della crisi climatica in atto, che 21 produttori mondiali di videogiochi e consolle hanno annunciato l’iniziativa “Playing for the Planet,” volta a ridurre le emissioni di CO2 del settore di 30 milioni di tonnellate entro il 2030.
Fra le aziende interessate, ci sono alcuni dei più grandi nomi del settore videogiochi, come Sony, Microsoft, Google Stadia, Rovio, Supercell, Sybo, Ubisoft e WildWorks, con una clientela complessiva di 970 milioni di giocatori, rispetto ai 2,6 miliardi di persone che si stima usino i videogiochi nel mondo. Fra i giganti dei videogiochi coinvolti non sono presenti Nintendo, Take-Two Interactive, Activision Blizzard e King.
L’alleanza a fini ambientali nel settore videogiochi agirà su molti fronti, dagli imballaggi al riciclaggio delle vecchie consolle, dalla condivisione delle buone pratiche al monitoraggio dei progressi fatti. Le aziende coinvolte hanno promesso inoltre di inserire tematiche “verdi” all’interno dei loro videogiochi, senza compromettere il divertimento dei giocatori, e si sono impegnate a piantare milioni di nuovi alberi.
“L’industria dei videogiochi ha la capacità di coinvolgere, ispirare e affascinare l’immaginazione di miliardi di persone in tutto il mondo,” ha dichiarato Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma Ambientale delle Nazioni Unite, in occasione della presentazione a New York dell’iniziativa. “Ciò li rende dei partner estremamente importanti per far fronte all’emergenza climatica.”
Evan Mills, un ricercatore statunitense che ha studiato l’impatto ambientale dei videogiochi, parlando dell’iniziativa ha detto che “l’attenzione sembra concentrarsi principalmente sul comparto delle consolle, il che è significativo poiché queste consumano molta più energia in aggregato rispetto ai giochi usati sul Pc.”
“Detto questo, spicca l’assenza dei principali produttori di componenti per i videogiochi, sia su desktop che consolle,” ha aggiunto Mills in un comunicato stampa, riferendosi a società di semiconduttori come Intel, AMD and NVIDIA.
Sebbene ci siano persone di tutte le età fra gli appassionati di videogiochi, il segmento demografico che sicuramente li usa di più è quello dei giovanissimi, degli adolescenti e dei giovani adulti. Si tratta della fascia che più di tutte negli ultimi mesi – sulla scia del movimento avviato dall’attivista svedese Greta Thunberg – ha richiesto cambiamenti radicali nel modo in cui governi e aziende stanno affrontando la crisi climatica.
Alla domanda se Playing for the Planet si ponga obiettivi sufficientemente ambiziosi, Gary Cook, autore di una guida di Greenpeace per prodotti elettronici verdi, ha risposto così a Kotaku: “In gran parte, no. È fantastico che alcune aziende dicano di essere preoccupate per i cambiamenti climatici e vogliano fare qualcosa, ma i loro impegni non sposteranno il piatto della bilancia e sono inadeguati rispetto all’impatto che l’industria dei giochi ha sull’ambiente “.
Sebbene sia sempre possibile fare di più, anche intervenire su una piccola percentuale dei consumi totali di energia potrebbe servire più di quanto non si pensi, ai fini della decarbonizzazione. Praticamente ogni tipo di consumo – frigoriferi, lavastoviglie, illuminazione, ecc. – rappresenta infatti una piccola percentuale del totale . Difficile insomma trovare uno o anche pochi proiettili d’argento che riescano da soli ad abbattere il lupo mannaro della crisi climatica.
Per imprimere una grande frenata alle emissioni di gas serra è necessario spingere contemporaneamente su una miriade di pedali, cioè di risparmi energetici.
La buona notizia è che abbiamo già oggi disponibili molte soluzioni tecniche praticabili per rallentare il surriscaldamento. Quello che manca è spesso la volontà concertata di governi, aziende e cittadini. Ventuno imprese concorrenti che si alleano per cominciare a ridurre la loro impronta climatica, nel suo piccolo e pur con le sue limitazioni, sembra una notizia comunque positiva.