Cosa aspettarsi dal presidente eletto Biden su clima e rinnovabili

Come potrebbe muoversi il prossimo inquilino della Casa Bianca su energie rinnovabili, fonti fossili ed emissioni climalteranti.

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La presidenza Biden rappresenterà un’inversione quasi totale del recente approccio della Casa Bianca al cambiamento climatico e alle energie rinnovabili.

A differenza del presidente uscente Donald Trump, che aveva definito i mutamenti climatici “una bufala”, il presidente eletto Joe Biden ha infatti inquadrato il cambiamento climatico non colo come una “minaccia esistenziale”, ma come uno dei cardini principali attorno al quale la sua amministrazione farà ruotare la gestione dell’economia, della politica estera, della sicurezza nazionale e della giustizia sociale.

Il fatto che Biden abbia ricevuto più voti di qualsiasi altro candidato nella storia degli Stati Uniti non significa però che il presidente entrante sarà in grado di attuare tutte le sue priorità climatiche. Molte di queste potrebbero essere vanificate o rallentate se i repubblicani manterranno la maggioranza al Senato. L’attuazione di nuove norme federali contro la crisi del clima dipenderà quindi anche dall’esito di due ballottaggi che si terranno in Georgia a gennaio, decisivi per stabilire quale partito avrà in Senato la maggioranza, per quanto risicata.

Agenda

In attesa di capire meglio le resistenze che nuove norme climatiche potrebbero incontrare al Congresso, è comunque prevedibile che Biden comincerà subito a invertire almeno alcuni, se non tutti, gli ordini esecutivi di Trump relativi al clima e all’energia, la maggior parte dei quali ha riguardato la deregolamentazione e l’apertura di nuove aree per le trivellazioni sui terreni federali.

Biden ha in programma di sostituire le direttive di Trump con una lunga lista di suoi nuovi ordini esecutivi. Fra questi, alcuni dei più significativi mireranno probabilmente a limitare le emissioni di metano, decarbonizzare gli edifici e i veicoli usati dal governo federale, creare un nuovo ufficio per la giustizia climatica all’interno del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, costruire stazioni di ricarica per i veicoli elettrici, richiedere alle società quotate di rivelare i rischi climatici nei loro bilanci, e porre fine alle nuove concessioni per le trivellazioni sui terreni federali.

A prescindere, comunque, dagli strumenti normativi che utilizzeranno, è lecito attendersi che Biden e la sua vice Kamala Harris diano impulso ai settori dell’energia pulita, riducano il sostegno ai combustibili fossili, stabiliscano nuovi mandati per la riduzione delle emissioni nocive, rivedano il modo in cui la Environmental Protection Agency (EPA), la Federal Emergency Management Agency (FEMA), cioè l’equivalente della nostra Protezione Civile, e altre agenzie realizzano le misure di adattamento agli impatti climatici, e cercheranno di riaffermare il ruolo degli Stati Uniti come attore credibile e influente nella diplomazia globale sul clima – a partire dalla ricongiunzione agli accordi di Parigi, che gli Stati Uniti hanno lasciato ufficialmente pochi giorni fa.

Il prossimo crocevia fra le maggiori priorità del presidente eletto – lotta alla pandemia e ai cambiamenti climatici – sarà costituito dalle misure di stimolo economico, che daranno a Biden l’occasione di cominciare a riempire di contenuti verdi gli aiuti ad un’economia fiaccata dai lockdown e dai cali paralleli di domanda e offerta di beni e servizi.

Finora, gli aiuti federali hanno fortemente favorito i combustibili fossili, ma l’amministrazione Biden sposterà con tutta probabilità una grossa parte del suo stimolo verso la creazione di posti di lavoro nelle energie rinnovabili e nella ricerca e sviluppo per le tecnologie verdi – Biden ha infatti promesso di investire 2.200 miliardi di dollari per decarbonizzare la generazione elettrica USA entro il 2035.

Sul versante dei vari enti federali citati prima, probabilmente il binomio Biden-Harris chiederà all’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) di elaborare una nuova regolamentazione nell’ambito del Clean Air Act per limitare le emissioni di carbonio, stabilendo standard più aggressivi per le emissioni dei veicoli e delle linee aeree, aumentando contemporaneamente i finanziamenti alla FEMA per la risposta ai disastri, alle assicurazioni federali contro le inondazioni e alle infrastrutture di protezione.

Fracking

Uno dei punti più delicati del piano di Biden è quello relativo al fracking, cioè le attività di fratturazione idraulica della superficie terrestre, che nell’ultimo decennio circa hanno fatto schizzare le estrazioni di petrolio e gas di scisto negli Usa, catapultandoli al primo posto nella produzione petrolifera mondiale.

Biden ha infatti promesso che non “vieterà il fracking“, nonostante le emissioni nocive e i danni ambientali da esso provocati. In questo contesto, se Biden manterrà la sua promessa, è probabile che il gas naturale, la meno dannosa delle fonti fossili, riceverà una spinta, via via che Biden si adopera per ridurre gradualmente il carbone e il petrolio dal mix energetico statunitense.

Da un punto di vista della decarbonizzazione, però, il fracking resta problematico e potrebbe costituire un punto di debolezza, non solo per le sorti della transizione energetica ma anche per quelle elettorali dello stesso Biden fra quattro anni.

È argomentabile, infatti, che Biden abbia promesso di lasciare indisturbato il fracking per non alienarsi gli elettori di zone come la Pennsylvania, uno degli Stati chiave per vincere le elezioni, dove storicamente molti posti di lavoro sono legati all’estrazione delle fonti fossili.

Lo stesso impulso spinse Trump nel 2016 a promettere il ritorno in grande stile dell’estrazione di carbone – promessa puntualmente non mantenuta per dinamiche di convenienza economica, domanda, offerta e costi palesemente sfavorevoli al carbone sui mercati nazionali e internazionali.

La promessa non mantenuta di Trump sul carbone potrebbe o dovrebbe forse suggerire qualcosa a Biden sull’opportunità di continuare col fracking, anche se le dinamiche di mercato dovessero tornare ad essere favorevoli per il fracking – cosa tutt’altro che scontata nel breve-medio termine.

Se, infatti, le misure per limitare il fracking sono percepite come elettoralmente controproducenti da molti politici, i sondaggi dell’opinione pubblica, pur con i margini di errore maggiori del previsto che talvolta li caratterizzano, mostrano che la maggior parte degli americani sostiene il passaggio alle energie rinnovabili, visto anche che fotovoltaico ed eolico sono ora più economici del carbone e del gas naturale in molte parti del paese.

“C’è quest’idea che in qualche modo gli abitanti della Pennsylvania siano favorevoli al fracking, ma questo non corrisponde all’umore degli elettori”, ha detto a BNEF Jon Krosnick, un professore dell’Università di Stanford che ha condotto sondaggi sulle politiche climatiche per più di due decenni. “Appoggiarlo non è assolutamente il modo per vincere”.

Legare le proprie fortune politiche al fracking in Stati come la Pennsylvania potrebbe insomma non essere una scelta vincente per Biden. Così come non lo è stato per Trump promettere il ritorno del carbone.

Sostegno a rinnovabili e clima, ma non a carbon tax

Le rilevazioni più recenti di Krosnick hanno indicato che gli americani sono decisamente a favore di incentivi governativi per installare più capacità eolica, fotovoltaica e idroelettrica. Più dell’80% degli intervistati appoggia infatti agevolazioni fiscali per le utility che riducano le emissioni di gas serra. Secondo un altro studio dei ricercatori di Yale University, George Mason University e Climate Nexus, il 71% degli elettori sostiene misure che eliminino “le emissioni di combustibili fossili dai settori dei trasporti, dell’elettricità, degli edifici, dell’industria e dell’agricoltura negli Stati Uniti entro il 2050″, un altro aspetto chiave del piano di Biden.

La società di consulenza Morning Consult ha rilevato che il 74% degli elettori di Biden ha descritto il cambiamento climatico come “molto importante” per il proprio voto – segno che il coraggio e l’azione climatica hanno influenzato e potrebbero continuare a influenzare la base del nuovo presidente. Un exit poll di Fox News e dell’Associated Press ha poi determinato che il 67% degli elettori – non solo quelli che hanno votato per Biden – sostiene “l’aumento della spesa pubblica per l’energia verde e rinnovabile”.

E in alcuni casi, gli elettori hanno avuto modo di esprimersi direttamente in materia. Il 57% degli elettori del Nevada, uno degli Stati in bilico, ha risposto affermativamente al quesito se le utility debbano generare almeno metà dell’elettricità da fonti rinnovabili entro il 2030.

Biden non ha però abbracciato una carbon tax durante la campagna, e dal punto di vista elettorale, probabilmente, è stata la scelta giusta. Secondo Data for Progress, un centro studi progressista che ha testato i vari aspetti del piano di Biden in quattro Stati in bilico durante l’estate, solo un quarto dei votanti è favorevole a fissare un prezzo per le emissioni di anidride carbonica, sebbene il 55% sostenga standard più severi e maggiori investimenti in energia pulita.

Parlare di tasse negli USA è sempre difficile, anche se una carbon tax sarebbe uno dei modi più efficaci e imparziali di affrontare la crisi climatica.

Emergenza nazionale e produzione di guerra

Senza l’ausilio di una carbon tax a dissuadere gli emettitori di CO2, a mali estremi, c’è chi guarda anche a estremi rimedi.

Alcuni settori del Partito democratico potrebbero favorire infatti azioni presidenziali con pochi precedenti, almeno in tempi di pace. Una di queste è dichiarare che il surriscaldamento globale è un’emergenza nazionale per gli USA. “Esiste un forte sostegno per questa misura tra i Democratici e gli indipendenti”, ha detto Anthony Leiserowitz, della Yale University. “Ora è il momento di schiacciare sull’acceleratore“.

Lo stesso Biden, nel suo piano per salvare l’economia, ha espressamente citato il possibile ricorso al Defense Production Act, cioè la legge sulla produzione in tempi di guerra, che consente alla Casa Bianca di mobilitare risorse a favore di determinate azioni e, potenzialmente, di non dover attendere il sigillo del Congresso, nel caso si crei una situazione di stallo al Senato.

Conclusioni

Vedremo se si arriverà a tali estremi rimedi, ma, azioni straordinarie a parte, Joe Biden entrerà in carica con qualcosa che nessun presidente americano ha mai avuto prima: un forte mandato popolare per l’azione a favore del clima e delle energie rinnovabili, confermato dai dati dei sondaggi e dai risultati elettorali di una campagna elettorale molto combattuta, di due candidati con visioni diametralmente opposte su clima ed energia.

Si tratta di un’occasione storica da non sprecare per attuare politiche coraggiose, da estendere auspicabilmente anche al fracking, da attuare preoccupandosi che chi perde il lavoro nel settore delle energie fossili possa ritrovarlo nel settore delle energie rinnovabili e nel suo indotto.

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