Il trasporto pubblico locale, l’altra emergenza dentro la pandemia

Cosa si poteva fare, e non è stato fatto, per dare a cittadini e pendolari un servizio più sicuro ed efficiente? Quali misure sono da mettere in campo nel breve e a livello strutturale? Ne parliamo con Anna Donati, responsabile del Gruppo di Lavoro “Mobilità sostenibile” di Kyoto Club.

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La pandemia ha ripreso a correre e ci si interroga sulle molteplici cause dell’aumento dei contagi. Tra queste è sotto accusa il trasporto pubblico locale, con immagini di affollamenti sui mezzi e alle fermate.

Ne parliamo con Anna Donati, esperta di mobilità e Responsabile del Gruppo di Lavoro “Mobilità sostenibile” di Kyoto Club, con esperienze di assessore alla mobilità in due grandi città italiane, iniziando col chiederle quali sono, a suo parere, le cause della crisi del traporto pubblico e cosa si poteva fare in questi mesi per offrire ai cittadini e ai pendolari un servizio più sicuro e controllato?

«Da quando in primavera è arrivata la pandemia in vista della ripartenza di settembre si ragionava su quattro soluzioni necessarie per evitare il caos: ridurre la mobilità con il lavoro agile da remoto, sfalsare gli orari delle scuole e della città, aumentare la frequenza del trasporto pubblico, vista la necessità del distanziamento, e puntare sulla mobilità attiva a piedi e in bicicletta. Se penso ad un primo bilancio di questi quattro fattori abbiamo visto qualcosa di utile sul lavoro da remoto, niente sugli orari della città e scuole, poco e nulla sul potenziamento del trasporto pubblico e qualcosa di interessante sulla mobilità attiva. I nostri problemi sono nati da queste carenze e non solo dai limiti strutturali e, ormai noti, del nostro debole trasporto collettivo. Il rischio è che tutto questo si trasformi nell’incremento dell’uso dell’automobile di cui siamo già saturi. La crisi non deve diventare un modo per consolidare il vecchio sistema».

Di recente ISFORT ha presentato il 17° Rapporto sulla mobilità degli Italiani da cui emerge la crisi del trasporto collettivo. Quali sono i dati che colpiscono di più?

Il Rapporto ISFORT 2020 ha raccolto i dati 2019 e poi quelli fino al 15 ottobre 2020, l’anno della pandemia. Emerge che la mobilità è diminuita complessivamente del 67% durante il lockdown, che alla ripartenza di settembre ha recuperato, ma restando comunque sotto del 16% rispetto allo scorso anno. Guardando alle diverse modalità, ISFORT ha riscontrato che da giugno a ottobre 2020 la mobilità attiva a piedi, in bicicletta e con il monopattino, è cresciuta al 31,3% rispetto alla media del 2019 che è stata del 23,8%. Nello stesso periodo gli spostamenti in auto e moto sono diminuiti dal 64% (media 2019, ndr) al 60,7%, mentre quello che è davvero calato è il trasporto collettivo passato dal 12,2% (media 2019, ndr) all’8% odierno. Quindi, in sintesi, calano gli spostamenti a causa della pandemia, cresce la mobilità attiva, cala l’uso dell’auto e crolla l’uso del trasporto collettivo. Con l’arrivo dei nuovi limiti di novembre per raffreddare il rialzo della pandemia, Inail, secondo i dati di tracciamento digitale, ha stimato una diminuzione del 58% sui mezzi pubblici, del 42% in auto e del 32% a piedi.

L’indice di affollamento fino all’80% dei mezzi di trasporto collettivo deciso da Ministero dei Trasporti e dalle Regioni, secondo lei, che cosa ha determinato?

In queste settimane si è ironizzato sui famosi 5 utenti per metro quadrato e il riempimento all’80% degli autobus e metro. Era di certo un compromesso tra l’esigenza di trasportare utenti a scuola e al lavoro e quella della sicurezza sanitaria. Si tenga conto che normalmente per stimare gli utenti del trasporto pubblico locale (TPL, ndr) si calcolano 6 utenti per mq e che spesso l’affollamento insostenibile dei nostri mezzi porta ad avere densità maggiori. Quindi le misure stabilite da MIT e Regioni, la diminuzione degli spostamenti e il calo dell’uso del trasporto collettivo, secondo ASTTRA, l’associazione delle aziende di trasporto, ha determinato affollamenti in alcuni orari e su alcune linee, ma non in modo generalizzato.

Il limite dei 5 utenti per mq era adeguato, quindi?

Va detto che a livello europeo nessuna altra realtà, azienda, ministero, regione e città, ha introdotto limiti di affollamento dei mezzi di trasporto collettivo e UITP, l’associazione delle aziende di TPL mondiale, ha fatto circolare un documento con diversi studi che dimostrano che il Covid-19 non si prende sui mezzi collettivi, anche per il tempo di permanenza limitato. In Italia non esistono studi specifici analoghi sulla responsabilità del TPL nel contagio e questo è un limite nel confronto pubblico.

Riguardo al servizio di trasporto pubblico per i pendolari, sia su gomma che su ferro, cosa va migliorato in tempi rapidi?

I servizi di trasporto che abbiamo in Italia sono molto meno frequenti e capienti rispetto ad altri Paesi europei e in qualche caso il tempo di permanenza è più lungo di 15 minuti soprattutto sugli autobus delle grandi città. Questo significa che in tempi di pandemia il trasporto collettivo ha mostrato tutti i suoi limiti e criticità. Come spesso abbiamo invocato, come addetti ai lavori e come ambientalisti, bisogna accelerare gli investimenti sul potenziamento dei mezzi, delle reti e dei servizi. Vanno messi in campo dei servizi straordinari nelle ore più affollate, aumentate subito le corsie riservate per far andare più velocemente i mezzi, per una frequenza maggiore con lo stesso numero di veicoli e riducendo così i tempi di permanenza degli utenti. Ma tutto ciò funziona insieme ad una quota di lavoro da remoto e sfalsando gli orari delle scuole e dei servizi: per questo servirebbero subito dei capaci Mobility Manager scolastici e aziendali, previsti dalle norme, ma mai davvero entrati in funzione su vasta scala.

Quali responsabilità vanno imputate a governo, regioni e città e cosa dovrebbero fare per migliorare la situazione del trasporto pubblico in Italia al tempo del Covid, ma soprattutto in futuro?

Il Governo ha predisposto 300 milioni di euro per servizi aggiuntivi di trasporto collettivo, ma a causa delle lunghe procedure di ripartizione e della sottovalutazione dei problemi, neanche la metà sono state assegnate ad oggi. Le Regioni e le città devono realizzare progetti straordinari e innovazioni di servizi, ad esempio, dedicati alle scuole, alle corse più affollate, servizi dedicati agli anziani; e ancora la realizzazione di corsie riservate per aumentare velocità e frequenza delle corse. In particolare, le città devono predisporre cabine di regia per garantire gli orari sfalsati delle città, mentre Ministeri e Regioni devono formare rapidamente efficaci Mobility Manager dotati di strumenti e poteri per intervenire nelle scuole e nei posti di lavoro.

Serve più denaro…

Certo, vanno aumentate le risorse da parte di Governo e Parlamento, per i contratti di servizio che nel 2010 sono stati tagliati quasi del 20%. Non dimentichiamo che le aziende di trasporto pubblico rischiano il fallimento a causa del crollo dell’utenza: ASSTRA parla di un deficit a fine 2020 di 2 miliardi di euro nei conti delle aziende; Trenitalia ha fatto trapelare una cifra analoga per il trasporto ferroviario. Se vogliamo evitare licenziamenti e fallimenti il Governo deve intervenire con risorse dedicate a questo settore che dà lavoro a circa 150.000 addetti.

Concludendo, possiamo riassumere dove bisognerebbe agire in Italia nei prossimi anni per garantire un trasporto pubblico efficiente e in sicurezza?

Bisogna accelerare i provvedimenti in corso per migliorare il servizio. La vera strada seria da perseguire è di acquistare nuovi autobus secondo il Piano nazionale, che prevede 3,4 miliardi di euro già disponibili. Vanno poi realizzate nuove reti tramviarie e metropolitane con il vigente Fondo MIT; parliamo di altri fondi per 7 miliardi. Con il Recovery Fund vanno aumentate entro il 2026 le risorse per mezzi, reti e servizi per treni, tram, autobus e filobus. Non c’è bisogno di improvvisare, basta puntare agli investimenti previsti dei PUMS, i Piani Urbani Mobilità Sostenibile, delle città e dai Piani di Qualità dell’aria delle Regioni. Penso che vada anche potenziata la Sharing Mobility da integrare con le reti portanti del trasporto collettivo. In generale, va investito molto nell’elettrificazione dei servizi di trasporto collettivo. Insomma, per fare seriamente mobilità sostenibile serve molta più concretezza e professionalità.

Per maggiori informazioni sull’argomento è possibile consultare il sito di Kyoto Club, Muoversi in Città, dove sono riportati interventi e webinar relativi al tema della mobilità sostenibile.

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