Quali sono le fonti energetiche più affidabili dal punto di vista dei tempi di costruzione e rispetto dei costi preventivati? Rapida anticipazione: sempre le solite.
Quando si pensa alla convenienza di puntare per la fornitura elettrica su questa o quella tecnologia, a noi “profani” vengono in mente i fattori chiave più ovvi, come il costo dell’impianto, la sua produzione annua in funzione della potenza oppure quanto costerà mantenerlo e ripararlo nel corso del suo ciclo di vita.
I professionisti del settore in questo tipo di investimenti, invece, mettono fra i primi posti nella lista da considerare, prima di metterci i soldi, anche quella che potremmo chiamare l’affidabilità realizzativa, cioè la possibilità che l’impianto venga davvero ultimato nei tempi previsti e senza complicazioni, evitando i rischi finanziari legati a cambi di progetto, i ritardi di realizzazione e la risoluzione di intoppi imprevisti.
Incertezze che, da un lato, aumentano i costi per manodopera, materiale, progettazione e interessi sui prestiti, e dall’altro ritardano il momento in cui inizieranno i flussi di cassa provenienti dalla produzione elettrica.
Sotto questo profilo, le fonti energetiche sono tutte uguali? Assolutamente no. Alcune sono ottime, altre disastrose, rivela un nuovo studio all’avanguardia realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Institute for Global Sustainability della Boston University coordinato dal suo direttore, il geofisico Benjamin Sovacool.
“Non si tratta di un fattore marginale, se si pensa che tra oggi e il 2050 l’Agenzia Internazionale dell’Energia prevede che saranno spesi oltre 100mila miliardi di dollari per costruire infrastrutture energetiche a emissioni zero in tutto il mondo”, ha evidenziato Sovacool sulla rivista Energy Research & Social Science (abstract dello studio “Beyond economies of scale: Learning from construction cost overrun risks and time delays in global energy infrastructure projects“).
“Se questi progetti finissero – ha aggiunto -per affrontare gravi ritardi nei tempi di realizzazione, facendo lievitare i costi di costruzione rispetto alle previsioni, le risorse disponibili potrebbero anche non bastare a portare a termine il gigantesco cambiamento nel modo di produrre energia di cui abbiamo bisogno”.
Bisognerebbe quindi che i governi, nel pianificare la transizione energetica, e gli incentivi e disincentivi da applicare per spingere gli investitori nella giusta direzione, tenessero fortemente in considerazione anche la cosiddetta “affidabilità realizzativa”.
Per valutarla e creare una sorta di classifica delle fonti più affidabili sotto questo aspetto, i ricercatori di Boston hanno raccolto dati su 662 progetti di infrastrutture energetiche che coprono una vasta gamma di tecnologie e potenze, realizzati tra il 1936 e il 2024 in 83 paesi, per un investimento complessivo di 1.358 miliardi di dollari.
Si tratta di un database del 50% superiore a quello usato in passato da analoghi studi.
Sono stati valutati dieci tipi di progetti a basse emissioni di CO2: reattori nucleari; dighe idroelettriche; parchi eolici su scala industriale; impianti solari fotovoltaici e termoelettrici; linee di trasmissione ad alta tensione; centrali a bioenergia; centrali geotermiche; impianti di produzione di idrogeno; impianti per la cattura e lo stoccaggio del carbonio.
“I risultati parlano chiaro: le infrastrutture energetiche sono particolarmente soggette a ritardi rispetto ai tempi di costruzione previsti, con una media del 40% in più, cioè 2 anni circa, e con costi che crescono in proporzione rispetto ai preventivi”, dice Sovacool
Ma ci sono differenze enormi fra le varie infrastrutture: le centrali nucleari in media sfondano i preventivi del 102,5%, in pratica un raddoppio, con un aumento di 1,56 miliardi di dollari e quasi tre anni in più per il loro completamento.
Seguono i progetti idroelettrici con il 36,7% in più di costo sul preventivo, quelli geotermici con un +20,7%, i sistemi di cattura del carbonio (CCS) con +14,9% e quelli a bioenergia con +10,7%.
I costi extra crollano con i progetti eolici, che sforano il budget con un +5,2%, mentre quelli di produzione di idrogeno si attestano al +6,4%.
Le infrastrutture che rispettano meglio le stime di costi iniziali, infine, sono le linee di trasmissione, +3,6% e gli impianti fotovoltaici, che superano i budget iniziali in media di appena il 2,2%.
A rispettare meglio i preventivi, ha scoperto lo studio, sono anche i progetti di piccole e medie dimensioni, mentre quelli con potenze oltre 1,5 GW (1500 MW) presentano rischi finanziari significativamente maggiori.
Dipende anche da questa relazione con la dimensione del progetto la maggiore affidabilità realizzativa di eolico e solare: raramente questi impianti superano il GW, e vengono realizzati attraverso l’installazione ripetuta di dispositivi tecnologici industriali (moduli o turbine) tutti uguali, il che raramente provoca sorprese.
Per Sovacool, le evidenze sono chiare: “Questi risultati dovrebbero essere un campanello d’allarme riguardo alle ipotesi di basare la decarbonizzione su tecnologie che si sono rivelate piuttosto inaffidabili dal punto di vista del rispetto di preventivi e tempi di realizzazione, come il nucleare. Ma ciò vale anche per l’idrogeno, anche se questo vettore per ora è rappresentato quasi solo da prototipi.
Al contrario, le fonti di energia a basse emissioni di carbonio, come eolico e solare, non solo offrono enormi vantaggi climatici e per la sicurezza energetica, ma anche benefici finanziari legati a minori rischi di costruzione e minori probabilità di ritardi. “Va detto che anche per questo hanno un valore sociale ed economico ampiamente sottovalutato”, chiarisce il coordinatore della ricerca.
I risultati indicano anche che nella decarbonizzazione “piccolo è bello”: puntare sul gigantismo degli impianti, come si tende ormai a fare anche nel caso delle rinnovabili, potrebbe far aumentare esponenzialmente il rischio di fallimenti finanziari.
In ogni caso la lezione che arriva da questa ricerca dovrebbe suonare forte e chiara anche per il governo italiano.
Perché andare a cercare guai di ogni tipo, finanziari inclusi, riesumando il nucleare, quando le fonti solari ed eoliche, unite a sistemi di accumulo appropriati e adeguamento delle reti, potrebbero coprire tutta la domanda energetica necessaria?
Questi aspetti portano anche a ridurre al minimo i rischi per gli investitori, che potranno puntare sulle tecnologie senza pretendere di essere protetti dallo Stato con super incentivi, come sta già accadendo per il “nuovo nucleare” (Nucleare UK, il mega-incentivo? “Serve in realtà a sostenere usi militari).