Sette aziende (con Snam) puntano a tagliare i costi dell’idrogeno verde in sei anni

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L'iniziativa Green Hydrogen Catapult si prefigge di realizzare 25 GW di capacità produttiva al 2026. Rischi e opportunità della partita per l'H2 a zero emissioni.

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Continuano a spuntare nuove iniziative per accelerare lo sviluppo dell’idrogeno “verde”.

L’ultima nata vede in campo sette big dell’energia a livello mondiale, tra cui l’italiana Snam, sotto il nome di “Green Hydrogen Catapult”.

L’obiettivo, come suggerisce il riferimento alla “catapulta” degli investimenti nel settore, è ambizioso, perché si punta a realizzare 25 GW di capacità produttiva di idrogeno verde al 2026 in modo da abbattere sotto 2 dollari/kg il costo di produzione di H2 green.

L’idrogeno verde, ricordiamo, deriva dal processo elettrolitico che permette di scomporre le molecole d’acqua in ossigeno e idrogeno; gli elettrolizzatori sono alimentati con energia elettrica rinnovabile (da fonte eolica o solare) e quindi l’intero processo è a zero emissioni di CO2.

Così l’idrogeno verde, evidenzia una nota di Snam sull’iniziativa che coinvolge anche ACWA Power, CWP Renewables, Envision, Iberdrola, Ørsted e Yara, “è considerato essenziale per la decarbonizzazione di processi a elevate emissioni come l’industria e il trasporto pesante”.

In ballo ci sono investimenti per 110 miliardi di dollari.

Con un prezzo sotto 2 $ al kg, chiarisce la nota, l’idrogeno verde diventerebbe la risorsa energetica ideale per diversi settori, come la produzione di acciaio e fertilizzanti, la navigazione su lunga distanza, senza dimenticare treni, aerei (Airbus sta pensando al primo aereo alimentato con idrogeno liquido), l’accumulo energetico (si stocca idrogeno per poi usarlo per produrre energia elettrica quando serve).

Ora, invece, l’H2 verde non è competitivo con l’idrogeno cosiddetto “grigio” oppure “blu”, vale a dire, l’idrogeno prodotto da fonti fossili (grigio) con eventuale cattura delle relative emissioni di anidride carbonica (blu) grazie alle tecnologie CCS, carbon capture and storage.

Snam ha dedicato molto spazio all’idrogeno verde nel Piano strategico 2020-2024 presentato a fine novembre. Si parla di ammodernare la rete gas in chiave “hydrogen ready”, di eseguire test per verificare la quantità massima di idrogeno che può essere immessa in turbine e compressori, di partnership con FS italiane e Alstom per convertire alcune ferrovie da diesel a idrogeno, altre partnership con ITM Power e De Nora per sperimentare nuove soluzioni tecnologiche.

Sempre a fine novembre, WindEurope e Solar Power Europe hanno lanciato la Renewable Hydrogen Coalition con il supporto di Breakthrough Energy, il super-fondo per gli investimenti in tecnologie pulite, guidato da Bill Gates.

Ma ci sarà una domanda così ampia per l’idrogeno a zero emissioni in Europa? Quali insidie si nascondono dietro questi investimenti?

La Commissione Ue ha presentato lo scorso luglio una strategia che prevede di realizzare 40 GW di elettrolizzatori al 2030,ma restano tante incertezze su tempi e costi.

In uno studio realizzato da Guidehouse per il governo olandese, si stima di produrre idrogeno verde a 2,2-2,6 €/kg nel 2025 e si considerano alcuni possibili schemi per future aste combinate per progetti (in Olanda) di eolico offshore e produzione di H2 a zero emissioni.

Ricordiamo che l’Olanda punta a sviluppare una “hydrogen valley” incentrata su grandi impianti eolici in mare abbinati a elettrolizzatori, con investimenti multimiliardari nei prossimi dieci anni.

Intanto anche l’Italia vuole salire sul treno dell’idrogeno verde, anche se le Linee guida elaborate dal MiSE si prestano a diverse critiche, come sottolineato in questo articolo di G. B. Zorzoli.

Le Linee guida, scrive Zorzoli, sono sbilanciate a favore dell’utilizzo diretto dell’idrogeno nel trasporto pesante su strada, marittimo e aereo, arrivando perfino a presentarlo come un’alternativa per le automobili, senza prendere in considerazione i conseguenti rischi di lock-in.

Per il trasporto pesante su strada è, infatti, già in corso la trasformazione della filiera per l’utilizzo di GNL al posto del gasolio.

L’impiego dell’idrogeno rinnovabile per produrre metano sintetico renderebbe possibile, in sinergia col biometano, il graduale “greening” del gas naturale, senza modificare né la logistica, né la filiera; peraltro, senza dover risolvere i problemi di sicurezza posti dall’idrogeno a bordo dei Tir. Lo stesso dicasi per il trasporto marittimo.

Considerazioni analoghe, afferma Zorzoli, valgono per il trasporto leggero con mezzi azionati da motori endotermici, destinati a essere gradualmente sostituiti da quelli a trazione elettrica, che tuttavia circoleranno ancora a lungo, ma, se alimentati da carburanti sintetici prodotti con idrogeno green, ridurrebbero le emissioni climalteranti; e per il trasporto aereo, dove i criteri di sicurezza preferiranno il jet fuel di origine biologica o sintetica.

Almeno per il trasporto pesante su strada andrebbero quindi prese in considerazione entrambe le linee di sviluppo – trazione elettrica con batterie e con celle a combustibile – mentre le Linee guida, senza motivarlo, escludono la prima opzione.

Inoltre, è del tutto ingiustificata la proposta di utilizzare l’idrogeno nel riscaldamento residenziale-commerciale, considerandolo una valida alternativa alle pompe di calore e al riscaldamento a biometano, opzione che “necessiterà di una progressiva riconversione all’idrogeno dell’esistente rete gas”.

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