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Si fa presto a dire idrogeno. Ritardi e limiti della strategia nazionale

Una critica alle linee guida del MiSE. Come distinguere tra idrogeno verde e blu e ridurre il ritardo italiano individuando le priorità e quantificando meglio gli obiettivi.

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Nel delineare una strategia per l’idrogeno, occorre innanzitutto fare chiarezza su alcune opzioni.

Anche se un tocco di pruderie vittoriana impedisce alle Linee guida del MiSE di affrontare il problema, menzionato una volta sola di sfuggita e con il condizionale, il dibattitto idrogeno verde vs idrogeno blu è vivo e vivace. E, visti gli interessi in campo, non può essere liquidato così facilmente.

Per affrontarlo in modo convincente va superata l’attuale asimmetria informativa.

Per la produzione di idrogeno verde disponiamo di dati attendibili sui costi attuali degli elettrolizzatori e della produzione con rinnovabili (eolica e fotovoltaica in primis) e di previsioni, da parte di fonti autorevoli, sulla loro evoluzione.

Per quello blu, le parole prevalgono largamente sui fatti. Invece di rivolgersi per lumi all’immancabile Boston Consulting (della quale il ministero si è avvalso per la stesura delle Linee guida sull’idrogeno, ndr) , il MiSE dovrebbe incaricare Enea o RSE di valutare i costi attuali del sequestro, trasporto e stoccaggio della CO2, chiedendo ad Eni di mettere a disposizione le sue valutazioni sia sui costi attuali e futuri, sia sulle aree di immagazzinamento disponibili e sulla loro sicurezza.

Oltre a consentire un confronto attendibile sulle due tipologie di idrogeno, questo percorso sarebbe in grado di fornire la risposta a un altro interrogativo: quanto idrogeno green o low-carbon saremo in grado di produrre nel prossimo decennio e, presumibilmente, in quelli successivi?

Per quello green, Enea o RSE non avrebbero difficoltà a fornire valutazioni, tenendo conto della produzione rinnovabile richiesta per soddisfare il nuovo obiettivo di decarbonizzazione al 2030, indicato dalla Commissione europea; un tema, con l’aggiornamento del PNIEC, che le Linee guida non prendono in considerazione.

Per quello blu, sempre che sia fattibile e conveniente su scala significativa, la risposta verrebbe dalla valutazione dell’effettiva capacità di stoccaggio disponibile.

Secondo le valutazioni di Confindustria, l’attuale consumo finale di idrogeno in Italia è pari a circa 16 TWh, corrispondente a circa 480.000 t/anno. Il 2% previsto dalle Linee guida allora corrisponderebbe a circa 10.000 tonnellate.

L’esiguità di questa cifra riflette la notevole quantità di energia richiesta per isolare l’idrogeno, per cui nel mettere a punto una strategia per lo sviluppo della versione verde non è pensabile una sua utilizzazione a pioggia.

La priorità va data ai settori “hard to abate”, dove non esistono oggi tecnologie alternative all’idrogeno, e, al loro interno, a quelli dove non sono richieste modifiche nell’attuale processo produttivo (industria chimica e della raffinazione); mentre per gli altri, come ad esempio siderurgia e cementifici, gli investimenti vanno concentrati sulla R&S e sulla realizzazione di impianti dimostrativi.

Per chimica e raffinazione andrebbero quindi fatte valutazioni per gli impianti più significativi esistenti in Italia che, tenendo conto della loro presumibile evoluzione, indichino per ciascuno quale dovrà essere la potenza di elettrolizzazione in grado di realizzare la completa decarbonizzazione. Informazioni essenziali, da un lato per impostare una politica industriale nel comparto dell’elettrolizzazione, dall’altro per individuare le “hydrogen valley” di più immediata implementazione.

Le Linee guida sono sbilanciate a favore dell’utilizzo diretto dell’idrogeno nel trasporto pesante su strada, marittimo e aereo, arrivando perfino a presentarlo come un’alternativa per le automobili, senza prendere in considerazione i conseguenti rischi di lock-in.

Per il trasporto pesante su strada è, infatti, già in corso la trasformazione della filiera per l’utilizzo di GNL al posto del gasolio. L’impiego dell’idrogeno rinnovabile per produrre metano sintetico renderebbe possibile, in sinergia col biometano, il graduale “greening” del gas naturale, senza modificare né la logistica, né la filiera; oltre tutto, senza dover risolvere i problemi di sicurezza posti dall’idrogeno a bordo dei Tir. Lo stesso dicasi per il trasporto marittimo.

Considerazioni analoghe valgono per il trasporto leggero con mezzi azionati da motori endotermici, destinati a essere gradualmente sostituiti da quelli a trazione elettrica, che tuttavia circoleranno ancora a lungo, ma, se alimentati da carburanti sintetici prodotti con idrogeno green, ridurrebbero le emissioni climalteranti; e per il trasporto aereo, dove i criteri di sicurezza privilegeranno il jet fuel di origine biologica o sintetica.

Almeno per il trasporto pesante su strada andrebbero quindi prese in considerazione entrambe le linee di sviluppo – trazione elettrica con batterie e con celle a combustibile – mentre le Linee guida, senza motivarlo, escludono la prima opzione.

Inoltre, è del tutto ingiustificata la proposta di utilizzare l’idrogeno nel riscaldamento residenziale e commerciale, considerandolo una valida alternativa alle pompe di calore e al riscaldamento a biometano, ma diventa comprensibile quando poco dopo si legge che questa opzione “necessiterà di una progressiva riconversione all’idrogeno dell’esistente rete gas”. A buon intenditor …

Infine, osservando che produrre idrogeno a sufficienza attraverso fonti rinnovabili in loco potrebbe non essere tecnicamente possibile a causa di vincoli di spazio, il documento del MiSE sottolinea che una produzione centralizzata potrebbe permettere economie di scala sugli elettrolizzatori e beneficiare di maggiori load factor delle fonti rinnovabili situate in aree soleggiate o ventose del Mezzogiorno.

Dimentica però che il potere calorifico di un metro cubo di idrogeno è circa un terzo di quello del gas naturale, quindi trasportarlo costerebbe tre volte tanto, se i costi di investimento per trasportare l’idrogeno in un gasdotto fossero gli stessi del gas naturale.

Viceversa, i costi sono più elevati per impedire le fughe di idrogeno dovute alla sua maggiore diffusività, il che rende la rappresentazione del trasporto dell’idrogeno a grande distanza come alternativa economicamente conveniente un soggetto esclusivamente utilizzabile per una pièce del teatro dell’assurdo.

Concludo osservando che il rinato interesse per l’idrogeno ha ricevuto conferme istituzionali già nella primavera scorsa, con le strategie proposte dalla Commissione europea e dalla Germania.

Se le valutazioni menzionate in questo intervento fossero state commissionate allora, oggi disporremmo di Linee guida maggiormente in grado di individuare priorità e di quantificare obiettivi, riducendo il ritardo che l’Italia ha già accumulato non solo nei confronti di Francia e Germania, ma anche della Spagna, che ha appena varato il progetto di un impianto fotovoltaico da 100 MW abbinato ad un elettrolizzatore da 20 MW.

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