La tassa alle frontiere sulle emissioni di CO2 voluta dall’Ue potrebbe infliggere all’economia russa danni molto maggiori delle sanzioni internazionali.
L’allarme arriva da Igor Sechin, capo del colosso petrolifero Rosneft (a sinistra nella foto-titolo) in una lettera al presidente Vladimir Putin, al quale è molto vicino, mandata il 30 giugno e della quale il quotidiano russo Kommersant ha scritto lunedì 23 agosto.
Il riferimento è al Carbon border adjustment mechanism, noto come Cbam, che l’Unione europea vorrebbe adottare nel pacchetto Fit for 55, rendendolo pienamente operativo dal 2026 e che colpirà le importazioni in Ue di prodotti ad alta intensità di emissioni da paesi con politiche sul clima non adeguate.
Secondo Mosca, la tassa potrebbe colpire beni russi per un valore di 7,6 miliardi di dollari (6,47 miliardi di euro), tra cui ferro, alluminio, elettricità e cemento, sempre che non sia ampliata per incidere anche sulle esportazioni di petrolio, gas e carbone.
Sechin ha fatto presente a Putin che la tassa dell’Ue e la possibilità di misure simili altrove potrebbero causare,riferisce Kommersant, “un danno incomparabilmente maggiore all’economia rispetto alle restrizioni illegali imposte alla Russia e alle società russe”, cioè le sanzioni imposte dal 2014 dalla comunità internazionale per contrastare l’annessione della Crimea da parte di Mosca.
Nella lettera, secondo Kommesant, Sechin propone che Putin cerchi di inserire la Russia in un elenco di paesi esenti dal Cbam europeo, per via della capacità di assorbimento dei gas serra dei loro ecosistemi.
Come avevamo scritto, secondo gli analisti di Morgan Stanley, citati da Bloomberg, i produttori di acciaio russi, i cui altiforni inquinano leggermente di più rispetto ai loro omologhi europei, saranno i più colpiti dalla nuova tassa ma l’impatto sarà in realtà contenuto, si spiega, dal basso costo della produzione russa e dall’introduzione molto graduale del Cbam.
Contro la nuova tassa europea si sono già levati gli scudi delle principali potenze emergenti, Cina in testa.
Il futuro e gli impatti della misura tracciata nel pacchetto Ue Fit for 55 restano però tutti da capire.
Come avevamo spiegato qui, il Cbam dovrebbe partire nel 2026 dopo un periodo di transizione e colpirebbe una serie di produzioni energivore quali acciaio, alluminio, cemento e fertilizzanti. Secondo la proposta di Bruxelles, i produttori esteri dovranno acquistare dei certificati in base alla CO2 emessa, a un prezzo correlato a quello dei permessi sul mercato europeo Ets.
Se gli importatori dimostreranno, tramite dati verificati da terze parti, di aver già pagato altrove un prezzo della CO2 per la produzione dei beni importati, potranno dedurre quel costo dai certificati Cbam.
I dettagli del meccanismo sono in gran parte da definire, ma è chiaro che interesserebbe soprattutto i produttori di acciaio, cemento e alluminio in paesi con misure sulle emissioni più blande rispetto a quelle europee: Cina, Russia e Turchia sono le potenze che potrebbero essere più colpite date il loro export verso l’Ue in questi settori.
Ci vorranno però anni per implementare il meccanismo e alcuni sostengono che il Cbam potrebbe non entrare mai completamente in vigore: la tassa sulla CO2 potrebbe servire più che altro come minaccia per spingere altri paesi a fare di più per ridurre le emissioni.
La misura dovrebbe infatti essere attuata in due fasi: dal 2023 al 2025, l’Ue monitorerà le informazioni fornite dalle aziende sulle proprie emissioni; solo dopo, nel 2026, inizierà ad essere applicata la tassa.
La gradualità nell’implementazione della misura, con il periodo transitorio 2023-2025, è necessaria per non violare le norme del WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio. Tuttavia, mettere in pratica la misura può rivelarsi difficile.